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La legge che delega il Governo a riformare completamente sulla base di nuovi criteri la normativa in materia di disabilità è in vigore dal 31 dicembre 2021

Il ddl delega che attribuisce al Governo il compito di predisporre una legge quadro sulla disabilità, che è anche uno degli obiettivi del PNRR, è stato approvato in via definitiva dal Senato il 20 dicembre 2021. La legge n. 227/2021 (Legge-22-dicembre-2021-n.-227) è entrata in vigore il 31 dicembre 2021.

Disabilità: legge in vigore dal 31 dicembre 2021

Il ddl delega che attribuisce al Governo il compito di predisporre una legge quadro sulla disabilità, che è anche uno degli obiettivi del PNRR, è stato approvato in via definitiva dal Senato il 20 dicembre 2021. La legge n. 227/2021 (sotto allegata) è entrata in vigore il 31 dicembre 2021.

Revisione e riordino della normativa

Con la delega al Governo in materia di disabilità si vuole procedere alla revisione e al riordino dell’intera normativa nel rispetto delle indicazioni della Convenzione Onu e della risoluzione del Parlamento

europeo del 7 ottobre 2021 sulla protezione delle persone con disabilità e in attuazione dei principi sanciti dagli articoli 2, 3, 31 e 38 della Costituzione.
La delega si pone lo scopo di proteggere le persone con disabilità anche attraverso una valutazione trasparente e agevole della loro condizione, di consentire loro il pieno esercizio dei diritti politici e sociali e di condurre una vita indipendente e inclusiva sia a livello sociale che lavorativo. Al disabile deve essere garantito il diritto di accedere a tutti i servizi, al pari di tutti gli altri cittadini, di avere le stesse opportunità, di non essere discriminato e di potersi autodeterminare.
Criteri per l’accertamento della disabilità

Il punto da cui partire è la fase di accertamento della disabilità, così come l’adozione di una nozione di disabilità, che deve essere “coerente con l’articolo 1, secondo paragrafo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, anche integrando la legge 5 febbraio 1992, n. 104.”

Occorre poi introdurre disposizioni che prevedano una valutazione della disabilità di base a cui ne segue una multidimensionale eventuale al fine di pensare e attuare un progetto personalizzato attivabile direttamente dal disabile o da una persona che lo rappresenti. Per la realizzazione di questo progetto si rende necessario procedere alla collaborazione e al coordinamento di diversi soggetti che si occupano della programmazione di tipo sociale, assistenziale e sanitaria a vari livelli, con il coinvolgimento degli enti del Terzo settore.

Progetto individuale che non può prescindere da risorse umane, professionali, tecnologiche, strumentali ed economiche, sia pubbliche che private, attivabili anche all’interno della comunità territoriale per attuare il progetto, stabilendo ipotesi in cui lo stesso, in tutto o in parte, possa essere autogestito. Figure professionali che avranno un ruolo chiave perché a loro spetterà collaborare e monitorare l’attuazione concreta del progetto da parte del disabile e che devono rappresentare un punto di riferimento anche per i familiari di quest’ultimo, ferma restando la facoltà del disabile di autogestire il proprio progetto.

Tutto questo sarà possibile grazie anche all’introduzione di processi di valutazione e di archiviazione dei dati interamente informatizzati.

Riqualificazione dei servizi pubblici

Per la realizzazione dell’inclusione e dell’accessibilità del disabile a una vita che nel quotidiano lo renda parte integrante della società si vuole procedere a una riqualificazione dei servizi pubblici in materia d’inclusione e accessibilità. A tal fine si rende necessario, tra l’altro, individuare presso ciascuna PA una figura dirigenziale a cui spetta la programmazione strategica della piena accessibilità, sia fisica che digitale da parte delle persone con disabilità, nominare un responsabile del processo d’inserimento delle persone con disabilità nell’ambiente di lavoro. Di disabili sarà necessario inoltre tenere in materia di Carte dei Servizi e di ricorsi per l’efficienza della PA.
Garante nazionale della disabilità

Prevista poi l’istituzione della figura del Garante nazionale delle disabilità, un organo indipendente e collegiale, che sarà una figura di riferimento per i disabili, i quali potranno segnalare e denunciare le violazione dei loro diritti. Compito del Garante comunque sarà anche quello di formulare raccomandazioni e pareri alle PA segnalate nello specifico dal disabile e promuovere campagne di sensibilizzazione e di comunicazione per creare una cultura del rispetto dei diritti dei soggetti colpiti da disabilità. Costui dovrà inoltre:

vigilare sul rispetto dei diritti e sulla conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti;
verificare e accertare la presenza di fenomeni discriminatori, con la facoltà di chiedere alle PA i documenti necessari allo svolgimento delle funzioni di sua competenza;
inviare con cadenza annuale una relazione sul lavoro svolto alle Camere, al Presidente del Consiglio dei ministri e all’Autorità politica delegata in materia di disabilità.

 

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico, un bambino italiano ogni 77 presenta un disturbo: questi dati testimoniano la diffusione di questo fenomeno e la necessità di affrontare tematiche sempre più complesse sull’inclusione sociale e lavorativa.
Se è vero che molti progetti supportano e aiutano i bambini con disturbi dello spettro autistico, lo è altrettanto che una volta compiuto il 18esimo anno di età ogni tipo di assistenza e supporto scompaiono e le famiglie spesso restano sole con il pensiero fisso di un futuro per i propri figli. Il passaggio all’età adulta è delicato per chiunque: responsabilità, lavoro e famiglia sono temi che si affacciano nella vita di tutti noi con maggiore importanza e il bisogno di supporto in questa fase è spesso sottovalutato.

Progetto

Con il progetto #COLORIAMOLINVISIBILE, Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, promuove l’inclusione lavorativa di persone autistiche. L’obiettivo è quello di favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro, aiutandole a riconoscere le proprie competenze e creando un contesto relazionale capace di accoglierle e accompagnarle nella costruzione delle loro relazioni con colleghi e superiori, mettendole nelle condizioni di svolgere al meglio le loro mansioni.

Attraverso un percorso di orientamento ed educazione al lavoro, 20 ragazzi e ragazze avranno la possibilità di acquisire tutte le informazioni necessarie per trovare un’occupazione, partendo da un’analisi delle competenze fino ad arrivare alla stesura del CV e alla costruzione di un progetto professionale.

Obiettivo

L’obiettivo del progetto è quello di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro alle persone con autismo, aiutandoli a riconoscere le proprie competenze e creando un contesto relazionale capace di accoglierli ed accompagnarli nella costruzione delle loro relazioni con colleghi e superiori, mettendoli nelle condizioni di svolgere al meglio le loro mansioni.

In particolare:

Aiutare i ragazzi/e a riconoscere la spendibilità delle proprie competenze e a valorizzarle nel mondo del lavoro;
Aiutare i ragazzi/e a riconoscere ed affrontare i propri limiti relazionali, per costruire insieme ai colleghi interazioni che facciano stare bene tutti;
Abbattere gli stereotipi sull’autismo all’interno dei luoghi di lavoro;
Aiutare i ragazzi ad uscire dall’isolamento;
Facilitare l’inserimento lavorativo attraverso la conoscenza.
Attività

Le fasi del progetto sono:

Selezione dei beneficiari;
Identificazione aziende partner;
Analisi contesti di lavoro e raccolta job description delle opportunità presso le aziende partner;
Percorso di orientamento al lavoro individuale e di preparazione all’opportunità;
Supporto all’inserimento;
Coaching e tutoring on the job.
I beneficiari saranno seguiti face to face, con il supporto di psicologi e educatori segnalati da associazioni partner.

Partner

I partner di progetto sono: Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, Fondazione Sacra Famiglia, Fondazione Renato Piatti, Auticon, Associazione diesis.

Grazie alla campagna di raccolta fondi su Rete del Dono e al contributo di The Adecco Group che ha raddoppiato la cifra, sono stati raccolti oltre 18.400 euro a sostegno del progetto.

Qual è la condizione delle persone affette da disturbi dello spettro autistico nel mercato del lavoro italiano? Quali sono le sfide associate a tale disabilità nei luoghi di lavoro? E di quali conoscenze devono disporre datrici e datori di lavoro allo scopo di sostenere dipendenti affetti da tali disturbi? Abbiamo discusso di questi temi con psicologhe e psicologi, assistenti sociali, datrici e datori di lavoro e altre figure professionali nel corso delle attività di ricerca di Opportunities4autism.

Il disturbo dello spettro autistico (DSA) è una disabilità dello sviluppo permanente che fa sì che i soggetti che ne sono affetti presentino difficoltà nel campo della comunicazione e dell’interazione sociale, nonché con l’ambiente circostante. La parola “spettro” sta ad indicare la spiccata variabilità riscontrabile nella tipologia e nella gravità dei sintomi. Molte persone con autismo sono in grado di lavorare e possiedono le competenze necessarie per poter eccellere nel loro campo; tuttavia, la maggior parte degli adulti con DSA non ha un’occupazione o è sotto-occupata. In Italia, solo circa il 10% delle persone con DSA ha un lavoro, mentre è ancora molta la strada da fare per quanto concerne le conoscenze che datrici e datori di lavoro hanno riguardo a tale disabilità.

Che cosa devono sapere datrici e datori di lavoro?
Sfide in ambito lavorativo
Per chiunque può essere stressante intraprendere un nuovo percorso professionale. Tuttavia, le persone affette da DSA sono costrette ad affrontare ulteriori sfide legate ai sintomi della loro condizione.

Le difficoltà di comunicazione e di interazione sociale costituiscono spesso la barriera più visibile al processo di inserimento nel contesto lavorativo. Le persone con autismo possono, infatti, essere infastidite dalla vicinanza delle loro colleghe e dei loro colleghi, e provare un forte stress di fronte alla prospettiva di dover socializzare. Per questo motivo, appare necessario sensibilizzare i componenti del gruppo di lavoro e i soggetti responsabili affinché conoscano e rispettino le esigenze dei dipendenti con DSA.

Alcuni individui affetti da tali disturbi possono, inoltre, avere delle difficoltà ad esprimersi a parole e a capire gli altri. La tendenza a interpretare in maniera letterale i messaggi e a non comprendere appieno alcuni elementi del linguaggio non verbale può ostacolare la comprensione reciproca. Per questa ragione, è bene ricorrere a un linguaggio chiaro, concreto e completo, evitando doppi sensi e ironia, metafore o gesti superflui. In questi casi, sarebbe bene disporre di una figura che faccia da intermediario tra la persona con autismo e il gruppo di lavoro al fine di sostenere la comunicazione e promuovere la valorizzazione della diversità in ambito professionale.

Altre sfide sono legate all’ipersensibilità agli stimoli ambientali. Il rumore, gli odori e una luce troppo intensa possono causare un grave turbamento e, in alcuni casi, possono alimentare degli stati di ansia o innescare delle crisi nervose.

Datrici e datori di lavoro possono attenuare l’impatto di tali stimoli fornendo ai dipendenti delle cuffie, installando delle lampade da tavolo in sostituzione di una forte illuminazione artificiale, o, qualora possibile, dando accesso a degli uffici riservati. Inoltre, potrebbero anche creare uno ambiente calmo e sicuro in cui i dipendenti possano trascorrere le loro pause o trovare rifugio quando si sentono sopraffatti da un eccesso di stimoli.

La scarsa flessibilità può causare problemi ai lavoratori con DSA nel momento in cui questi si trovano di fronte a cambiamenti improvvisi nella routine lavorativa o sono chiamati a gestire compiti inaspettati o variazioni alle attività inizialmente ritenute prioritarie. Inoltre, possono avere difficoltà quando viene chiesto loro di concentrarsi su due attività allo stesso tempo, eventualità che potrebbe generare uno stato di ansia e stress acuto.

Per aiutare ogni dipendente ad affrontare tali situazioni, i datori di lavoro dovrebbero concedere alle persone con DSA quanta più flessibilità e autonomia possibile nella pianificazione delle loro attività.

Vantaggi legati all’assunzione di persone affette da disturbi dello spettro autistico
Allora, quali sono i vantaggi dati dall’assumere una persona affetta da disturbi dello spettro autistico? Gli stessi di quando si sceglie una persona competente e leale.

Le persone con autismo hanno molte qualità e talenti da offrire in ambiti quali l’arte, la musica, l’artigianato, la matematica, l’informatica, il giardinaggio o la cucina. Fra i punti di forza più comuni ricordiamo una forte memoria, il rispetto delle regole e l’attenzione ai dettagli, nonché la capacità di eseguire compiti ripetitivi con grande precisione.

Inoltre, l’intero gruppo di lavoro può beneficiare di una maggiore neuro-diversità imparando dalle differenze, entrando in contatto con nuovi punti di vista e trasformando la comunità in senso più inclusivo.

Per poter apprezzare tali punti di forza e non lasciarsi sfuggire questi grandi talenti, datori di lavoro sono chiamati a informarsi meglio su tale disabilità, imparare a riconoscerne i sintomi e rispettare le differenze individuali.

Sostegno lavorativo alle persone con DSA
Purtroppo, i servizi a disposizione sia datori di lavoro, sia degli adulti con DSA sono limitati. Infatti, sono soprattutto le famiglie a prendersi carico dei bisogni connessi alle sfide legate all’età adulta e alla ricerca di un’occupazione dei familiari affetti da tale disturbo.

Un caso a parte è costituito, invece, dai centri che operano all’interno delle università allo scopo di garantire pari opportunità a studentesse e studenti con disabilità e/o DSA lungo tutto il percorso formativo e nel passaggio al mondo del lavoro.

Un caso a parte è costituito, invece, dai centri che operano all’interno delle università allo scopo di garantire pari opportunità agli studenti con disabilità e/o DSA lungo tutto il percorso formativo.

Un esempio straordinario in tal senso è il CInAP – Centro per l’integrazione attiva e partecipata dell’Università di Catania, all’interno del quale un’equipe multidisciplinare, formata da psicologi, assistenti sociali e formatori, opera per supportare gli studenti dall’inizio alla conclusione di tutto il percorso formativo universitario, attraverso l’attivazione di specifici servizi che possono essere così sintetizzati: orientamento in entrata, consulenza sulle normative di settore, supporto specialistico durante i test d’ingresso ai diversi Corsi di Laurea dell’Ateneo, presa in carico di ciascuno studente attraverso colloqui finalizzati alla condivisione di Progetti Individualizzati (PI), attivazione dei servizi di supporto allo studio e alla frequenza a lezione (tutorato didattico e specialistico, possibilità di accesso agli appelli riservati, counseling psicologico, trasporto, interpretariato LIS, ecc.), orientamento in uscita finalizzato all’inserimento dei neo laureati nel mondo del lavoro attraverso il servizio di Placement/Collocamento Mirato (L. 68/99).

Quanto descritto, viene specificatamente attivato anche per gli studenti con disturbi dello spettro autistico per i quali il Centro mette a disposizione un servizio di “Tutorato Specialistico per studenti con disabilità comportamentale”, cogestito da un’assistente sociale e uno psicologo, che mira alla progettazione di interventi personalizzati orientati all’implementazione di percorsi di promozione del loro benessere e di potenziamento delle loro autonomie.

Centri come il CInAP, cooperative sociali, associazioni e gruppi di genitori di minori con autismo come il Comitato Autismo Parla o Dopo di noi, si battono costantemente per i diritti delle persone con DSA e si sforzano di sensibilizzare quante più persone possibili sul tema dell’autismo. Tuttavia, datori di lavoro e responsabili della gestione delle risorse umane non hanno ancora raggiunto un livello di consapevolezza adeguato e la maggior parte di loro non sa cosa aspettarsi, né come rivolgersi a candidati o dipendenti con DSA.

Opportunities4autism: il progetto
Il gruppo di lavoro di Opportunities4autism intende sensibilizzare sul tema delle persone con DSA nel mondo del lavoro e rendere i contesti professionali più aperti alla neurodiversità. Fra febbraio e marzo 2021 abbiamo condotto numerose interviste e focus group con esperte ed esperti nel campo dell’autismo e preso in esame la condizione delle persone con DSA nel mercato del lavoro.

Le opinioni presentate dai soggetti intervistati sono servite per analizzare il livello di consapevolezza rispetto al tema e individuare i bisogni di apprendimento che costituiranno la base del pacchetto formativo di Opportunities4autism, progettato per permettere ai datori di lavoro di acquisire le capacità e le competenze necessarie per sostenere gli individui con autismo nel processo di assunzione e di inserimento lavorativo.

Lavori nel campo della formazione professionale, svolgi un’attività imprenditoriale oppure ti occupi di persone affette da disturbi dello spettro autistico e ti piacerebbe seguire il corso di formazione? Ti invitiamo a contattare Cecilie La Monica Grus all’indirizzo cecilie.lamonica@cesie.org.

Un locale dove i ragazzi autistici possano lavorare autonomamente servendo ottime pizze. Questa l’idea che è venuta in mente a Nico Acampora, il papà di un giovane affetto da questa sindrome, e ad altri genitori. Il ristorante si chiamerà PizzAut e vedrà la luce a Cassina De Pecchi, probabilmente nel dicembre 2019.
“Avviare uno spazio di inclusione sociale gestito da ragazzi con autismo”, questo, come si legge sul sito di PizzAut, l’obiettivo del progetto, che vuole creare uno spazio di lavoro, integrazione e relazione, ma anche un luogo dove gustare deliziose pizze, preparate con ingredienti biologici e di qualità. “Il ristorante sarà il primo in Italia – e da quello che sappiamo anche in Europa – gestito interamente da ragazzi autistici – racconta Acampora a MilanoToday -. In una prima fase il progetto coinvolgerà dai 15 ai 20 ragazzi, tra i 17 e i 24 anni. Dieci di loro hanno già ricevuto formazione. Alessandro e Matteo (che ad aprile sono iscritti al Campionato Mondiale della Pizza) saranno i pizzaioli. Gabriele sarà responsabile di sala e formerà gli altri ragazzi. Giada, Lorenzo, Francesco e altri lavoreranno al bar o in sala”.

Il ristorante nascerà per sopperire a un bisogno avvertito da molte famiglie, ovvero quello di un locale dove le persone autistiche possano lavorare e al contempo socializzare. “Troppo spesso i ragazzi con autismo sono esclusi dal mondo del lavoro e dalle relazioni sociali, come genitori di bimbi con autismo lo verifichiamo ogni giorno sulla nostra pelle e con i nostri ragazzi”, scrivono le famiglie online. “L’idea poi – racconta il padre – è di fare una sorta di franchinsing del sociale, replicando il know how (dall’organizzare dei locali alle tecnologie utilizzate, passando per la formazione). Si creerà un volano che costruisce lavoro. I ragazzi più bravi potrebbero anche andare ad insegnare ad altri”.

Come sarà il ristorante
Alessandro, Gabriele e Francesco, questi i nomi di alcuni dei ragazzi di PizzAut, hanno già imparato a preparare gli impasti per la pizza e a servirla ai tavoli. Già da tempo infatti collaborano con i diversi locali che si sono resi disponibili ad ospitarli, permettendogli di raccogliere fondi per realizzare PizzAut, ma anche di imparare il mestiere. Per definire il ruolo di ciascuno all’interno del ristorante è stato proposto un percorso di formazione con il supporto di psicologi ed ed educatori. “Le mansioni – afferma Acampora – sono state distribuite in base a caratteristiche del singolo, alla sue abilità, ma anche alle attitudini. PizzAut sorgerà all’interno di un’area produttiva che era della Nokia e che un imprenditore privato sta riqualificando. All’interno di questo centro ci saranno realtà del terziario, tra cui anche noi”.

PizzAut, viene precisato sul suo sito, non servirà ad aiutare le persone autistiche in quanto bisognose di aiuto, ma a valorizzarle “perché portatrici di competenze e di ben-essere”. All’interno della pizzeria i ragazzi potranno avvalersi delle competenze e della conoscenza di professionisti della ristorazione e della riabilitazione. Il locale sarà perfetto per le famiglie ma anche per i giovani. Il ritmo all’interno sarà quello in cui si sentono più a loro agio i ragazzi: si tratterà di “un locale dai tempi lenti dove non bisogna andare a mangiare una pizza quando si hanno cinque minuti e poi si corre via… ma un locale dove Trovarsi e Ritrovarsi in una dimensione temporale e relazione fuori dalle frenesie che mettono in difficoltà chi è affetto da autismo ma che fanno male anche ai cosiddetti normali”, come si legge sul sito del locale.

Uno spazio di socializzazione
“La difficoltà più grossa per le persone autistiche è quella relazionale – racconta Acampora. I ragazzi all’inizio avevano paura del pubblico. Ora l’hanno superata grazie alle tante serate PizzAut che stiamo facendo in tutta Italia. I ragazzi grazie al lavoro stanno meglio, hanno più autonomia e maggiore rispetto di sé”.

“Io sono il papà di Leo – continua il genitore – che ha dieci anni ed è autistico. Con lui e mia moglie facciamo spesso la pizza a casa. Manipolare e realizzare qualcosa è un lavoro importante sulle autonomie. Poi invitavamo gli amici a mangiare. Così a un certo punto mi son detto perché non fare questa cosa con ragazzi più grandi, per dargli lavoro? Da quest’intuizione è nato PizzAut”.

I giovani di PizzAut
Il padre di Leo ricorda anche alcuni aneddoti legati all’esperienza dei ragazzi: “Quando Alessandro, il pizzaiolo, ha iniziato a fare le pizze, il suo maestro ha detto che doveva ‘schiaffeggiare la pizza’. A un certo punto, poi, a distanza di giorni gli è stato detto anche che l’impasto era una cosa viva. E a quel punto lui ha smesso di impastare. Non voleva fare più pizze perché, diceva, ‘le cose vive non si schiaffeggiano’. Si è rimesso al lavoro solo quando gli abbiamo detto che doveva ‘coccolare’ l’impasto”.

“Francesco, uno dei ragazzi che lavoreranno in sala – continua Acampora – una volta mentre ci trovavamo in Francia ha iniziato a parlare con un gruppo di turisti olandesi. Nessuno aveva idea che parlasse il fiammingo. Così gli abbiamo chiesto spiegazioni e lui ci ha raccontato che aveva visto un video su YouTube e aveva memorizzato alcune frasi. Un altro ragazzo di PizzAut, Gabriele, invece, un tempo non usciva mai dopo la scuola. Da quando ha iniziato a fare parte del progetto è un’altra persona. Frequenta i suoi amici e ha fatto il primo capodanno senza genitori”.

Come contribuire a PizzAut
Chiunque voglia partecipare alla realizzazione di PizzAut, che si finanzia attraverso il crowd funding, può fare una donazione sul sito del progetto o decidere di destinargli il proprio 5 per mille (codice fiscale 91142230159). Chi contribuirà verrà ricompensato e ringraziato pubblicamente su un ‘muro dei mattoni’ creato ad hoc. “In fin dei conti – si legge sul sito del progetto – per credere in un luogo lento e gestito da persone autistiche bisogna essere grandi matti e quindi il muro dei ‘mattoni’ ospiterà i nominativi o le frasi di questi importanti donatori”.

I fondi raccolti verranno utilizzati per l’acquisto di tutti gli arredi, dei macchinari, di speciali forni (che impediscono di dimenticare all’interno la pizza bruciandola) e delle attrezzature necessarie, i percorsi di formazione destinati ai ragazzi per l’acquisizione delle competenze necessarie, l’eventuale affitto della struttura ed il costo del personale almeno nella fase di avvio. Al momento la raccolta di crowd funding punta a raggiungere 100mila euro (67mila quelli già donati). Inoltre sono previste donazioni di aziende ristoranti e privati (si spera di realizzare un totale di 150mila euro). La cifra complessiva da raggiungere è pari a 250mila euro.

L’evoluzione dell’inclusione scolastica in Italia
Il concetto di inclusione scolastica entra nel dibattito pedagogico italiano negli anni ’90. Successivamente, si concretizza il passaggio da un approccio basato sull’integrazione degli alunni con disabilità a un modello di didattica inclusiva orientato al pieno sviluppo formativo di tutto il gruppo classe. Il Decreto Inclusione rappresenta solamente l’ultima tappa di questa rivoluzione educativa che mette al centro il valore della diversità come occasione di crescita per tutti gli alunni.

Dall’integrazione all’inclusione nella scuola italiana
Il concetto di inclusione nella scuola italiana è relativamente recente e rappresenta l’ultima tappa dell’evoluzione nel dibattito sulla pedagogia inclusiva. Per comprendere l’attuale fase nella scuola italiana, occorre partire da un importante chiarimento, integrazione non è sinonimo di inclusione.

L’integrazione scolastica può essere letta come l’obiettivo di una strategia didattica per la partecipazione e il coinvolgimento delle persone con disabilità. Con il termine “inclusione”, ci si riferisce invece a una strategia finalizzata alla partecipazione e al coinvolgimento di tutti gli studenti, con l’obiettivo di valorizzare al meglio il potenziale di apprendimento dell’intero gruppo classe. Con il passaggio dall’integrazione all’inclusione si sposta quindi più in là il raggio d’azione della didattica, inserendosi perciò in un contesto educativo di sempre maggiore complessità.

In Italia, a livello scolastico e pedagogico, il concetto di inclusione viene adottato dall’inglese solamente negli anni ’90. Il passaggio non rappresenta solamente un cambiamento terminologico, bensì un’innovazione concettuale e di impostazione istituzionale. L’obiettivo è quello di mettere al centro della scuola il valore della diversità, come occasione di crescita data dall’interazione con una persona con disabilità o con altri tipi di disturbi, che possono essere anche passeggeri.

Si supera così l’idea di una “normalità” della didattica basata sull’omogeneità di chi apprende, passando invece alla visione di classe come realtà caratterizzata da una ampia pluralità di bisogni e necessità individuali. I problemi relativi alla didattica verso persone con disabilità, infatti, non sono altro che una specifica manifestazione di problemi che pongono, in maniera diversa e a volte mascherata, anche gli altri alunni. A livello didattico, la conseguenza più importante di questa evoluzione nel dibattito pedagogico è il superamento dell’illusione che sia possibile una strategia didattica standardizzata. La didattica inclusiva deve essere intesa perciò come una trasformazione dell’ambiente educativo che coinvolge e favorisce l’intera comunità scolastica, non solamente l’alunno con disabilità.

Le tappe fondamentali dell’inclusione nella normativa scolastica italiana
L’attuale assetto di strumenti e pratiche che garantiscono l’inclusione di tutti gli alunni nelle scuole italiane è il frutto di una stratificazione normativa lunga decenni. Un percorso complesso, fatto di piccoli passi e di grandi balzi in avanti.

Le linee guida del 2009
È impossibile parlare di inclusione scolastica senza citare uno dei documenti pedagogici e normativi più importanti a livello didattico, ovvero le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009. È con questo documento, infatti, che si gettano le basi per l’utilizzo dell’ICF (International Classification of Functioning) come modello di riferimento per la classificazione della disabilità. Con l’adozione dell’ICF, elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2010, si tengono in considerazione tutti i fattori contestuali del processo educativo, sposando quindi un approccio di tipo “ecologico” (ovvero che dà la giusta importanza all’ambiente educativo) come punto di partenza per l’inclusione scolastica. Nelle Linee Guide del 2009 si stabiliscono così due concetti fondamentali:

l’accettazione delle diversità presentate dagli alunni disabili come fonte di arricchimento;
l’importanza di prestare attenzione ai bisogni di ciascuno, non solamente quindi alle esigenze degli alunni affetti da particolari disturbi.
La legge 170/2010
Il successivo passaggio normativo è rappresentato dalle “Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in ambito scolastico” contenute nella Legge 170/2010. È con questa legge che si concretizza l’approccio innovativo dell’inclusione scolastica e si definiscono tutti gli strumenti e le metodologie per consentire il pieno sviluppo del processo formativo a partire dalla singolarità e complessità di ogni persona. Al centro di questa strategia, vengono così inserite la personalizzazione e l’individualizzazione dell’offerta didattica.

La Direttiva sui BES del 2012
Nel 2012, la necessità di dare sempre più centralità agli studenti ha portato il Miur a redigere una specifica Direttiva Ministeriale intitolata “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, in cui si riconosce la possibilità che un alunno presenti esigenze didattiche particolari anche in assenza di DSA. Di conseguenza, si organizzano criteri didattici inclusivi per tutti quegli studenti che presentano difficoltà dovute a cause socio-ambientali, culturali o familiari. Questo passaggio ha rappresentato sicuramente una rivoluzione culturale per l’istituzione scolastica, soprattutto per il potenziamento della cultura dell’inclusione che ne consegue.

Il Decreto Inclusione 2017 – 2019
Il Decreto inclusione rappresenta l’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso verso la realizzazione dell’inclusione scolastica. La sua prima stesura è del 2017, modificata poi nel 2019. Con questo decreto, il governo ha introdotto importanti modifiche, consolidando e approfondendo la scelta per la personalizzazione della didattica. Tra le altre cose, viene dato maggior peso al ruolo delle famiglie, si creano i Gruppi di Inclusione Territoriale e i Gruppi di lavoro operativi per l’inclusione. Il nucleo della riforma è sicuramente concentrato nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), che vengono così ad essere gli strumenti fondamentali con cui il consiglio di classe è tenuto a disegnare un piano didattico specifico per ogni alunno disabile.

Riusciremo finalmente a dare un senso concreto alla nostra legge sull’inclusione scolastica che, come è noto, “tutto il mondo ci invidia” ? Il problema di un corretto impiego del sostegno scolastico è annoso, soprattutto le famiglie con ragazzi nello spettro autistico sanno bene come sia vano immaginare allo stato delle cose una corretta e reale inclusione del proprio figlio. La migliore delle ipotesi è trovare un insegnate formato, coscienzioso e con sufficiente autorevolezza per porsi come interlocutore con il corpo docenti e con il dirigente scolastico. Non è detto che ciò non avvenga ma quasi sempre come eccezione, dovuta a una fortunata alchimia tra serio e competente impegno individuale e un insieme di insegnanti, genitori e ragazzi che permettono di mettere in atto un percorso utile e didatticamente importante per tutti.

La regola che ben conosciamo è quella di una mancanza di formazione base sulla gestione della neurodiversità, un atteggiamento di fastidio da parte degli insegnanti curricolari che vedono la presenza del disabile psichico e relazionale come un impedimento a svolgere il loro lavoro. La maggior parte degli studenti nello spettro ha passato un periodo scolastico non all’altezza di quello di cui avrebbero diritto. L’argomento dei docenti di sostegno “specializzati” è sempre stato considerato tabù, come se fosse la condanna a rimanere a vita in una sotto-categoria di docenti. E’ noto invece che per moltissimi passare per il sostegno è un escamotage per accedere alla condizione di docente di ruolo, un impegno quindi transeunte, affrontato con una formazione farsa, mirato a trovare prima possibile la sede più opportuna per le proprie aspirazioni.

Finalmente si è concretizzata una Proposta di Legge sulla Continuità didattica dei docenti di sostegno e altre norme che mirano a rendere la scuola concretamente inclusiva per tutti gli alunni e le alunne con disabilità. La Proposta di Legge è stata presentata presso il Ministero dell’Istruzione da una delegazione della Federazione FISH, che il sottosegretario Sasso si è impegnato a fare propria. Oltre a specifiche classi di concorso per il sostegno, pur con la possibilità della mobilità professionale, il testo si occupa tra l’altro anche delle scuole paritarie e degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione

«Si tratta – spiega Vincenzo Falabella, presidente della Fish – di una proposta normativa presentata a nome dell’intero mondo associativo che rappresento e che prevede in primo luogo l’istituzione di nuove ed apposite quattro classi di concorso per il sostegno, riguardanti le scuole di ogni ordine e grado, che porteranno in classe solo docenti specializzati e a tempo indeterminato». Per chi desidererà successivamente spostarsi su una cattedra curricolare per la quale sia abilitato, è prevista la mobilità professionale, sulla base degli appositi concorsi. «Molti attuali docenti per il sostegno, che godono – unici del corpo docente – del privilegio di poter indifferentemente occupare sia i posti curricolari nei quali hanno vinto il concorso che quelli di sostegno, si oppongono alla richiesta dell’istituzione delle apposite classi di concorso per il sostegno con la motivazione che, qualora esse venissero istituite, essi sarebbero “condannati a vita” a fare sostegno, subendo così un logorio psicologico e professionale», si legge nel documento: «A tale obiezione la presente proposta di legge risponde con l’art. 1 comma 3 che per loro, come per tutti i docenti di ruolo, è applicabile l’istituto della “mobilità professionale”, cioè del passaggio di cattedra da sostegno a cattedra comune, purché ne abbiano l’abilitazione e sulla base degli annuali appositi concorsi. Ci sembra questa una ragionevole soluzione per venire incontro alle resistenze di molti docenti di sostegno, che si oppongono oggi a specifiche classi di concorso per non essere “condannati a vita” a fare sostegno», spiega Falabella.

Tra i principi che animano la proposta di legge, nell’ottica del miglioramento dell’inclusione scolastica, c’è innanzitutto quello della continuità didattica, con la previsione che i docenti specializzati a tempo indeterminato per il sostegno didattico non possano, di norma, usufruire della citata mobilità professionale, sino a quando l’alunno con disabilità per il quale siano stati nominati abbia completato il triennio della scuola dell’infanzia, il quinquennio della primaria, il biennio della secondaria di secondo grado e il successivo triennio. A richiesta delle famiglie e dopo valutazione del Dirigente scolastico, inoltre, i docenti a tempo determinato già nominati per un biennio potranno proseguire nell’anno successivo con lo stesso alunno e sulla stessa sede, in coerenza con la loro posizione in graduatoria ovvero a parità di punteggio. «Non si impedisce a quanti, situati positivamente in graduatoria per gli incarichi e le supplenze, di ricevere la nomina; solo che per quell’anno debbono accettare una sede diversa, essendo, quella da loro prescelta, assegnata in base a questa norma speciale al docente che deve assicurare il rispetto del principio della continuità didattica previsto dalla legge di delega n. 107/2015», si legge.

Un passaggio di notevole importanza riguarda le scuole paritarie: la proposta di legge chiede che anche qui gli alunni e le alunne con disabilità abbiano diritto, al pari delle scuole statali, ad avere assegnati dallo Stato i docenti per il sostegno e dalle Regioni e dai Comuni gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione. «Ovviamente la norma comporta aumento di spesa. Però, se si pensa che gli alunni con disabilità attualmente frequentanti le scuole paritarie non superano i 15.000 alunni e si confronta con la spesa per le massicce immissioni in ruolo di decine di migliaia di docenti, si prenderà atto che questa spesa, costituzionalmente legittima e dovuta, rappresenta una spesa assai meno rilevante di quella che lo Stato ed Enti territoriali hanno risparmiato in cinquanta anni di normativa inclusiva realizzata in Italia con la mancata applicazione del comma 4 dell’art 34 della istituzione», afferma il documento.

L’articolo 8 interviene sul tema della formazione iniziale e in servizio dei docenti per il sostegno didattico. Se è nota la carenza di docenti specializzati sul sostegno didattico (sono specializzati oggi solo un terzo degli insegnanti di sostegno), la possibilità di istituire Scuole di specializzazione per il sostegno didattico e per l’inclusione scolastica presso le università che hanno un dipartimento di scienze della formazione, consentirà di formare a ciclo continuo docenti specializzati sul sostegno didattico che potranno poi essere immessi in ruolo sulla base delle facoltà assunzionali determinate da MEF e dal Ministero dell’Istruzione.

Continuità didattica dei docenti di sostegno e altre norme che mirano a rendere la scuola finalmente e concretamente inclusiva per tutti gli alunni e le alunne con disabilità: se ne occupa una Proposta di Legge presentata presso il Ministero dell’Istruzione da una delegazione della Federazione FISH, che il sottosegretario Sasso si è impegnato a fare propria. Oltre a specifiche classi di concorso per il sostegno, pur con la possibilità della mobilità professionale, il testo si occupa tra l’altro anche delle scuole paritarie e degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione

I e

Il testo completo della Proposta di Legge ( testo proposta-di-legge-su-inclusione-e-personale-di-sostegno) . Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.

Triste fatto di cronaca occorso nell’area di servizio Rubicone est sulla A14, all’altezza di Savignano sul Rubicone, in provincia di Forlì. Qui alcuni ragazzi affetti da autismo, di ritorno da un periodo di vacanza in Molise con i loro educatori, dopo essersi accomodati negli appositi tavolini all’aperto per consumare il pranzo al sacco, sono stati allontanati in malo modo da un addetto al distributore di benzina il quale asseriva che tali posti fossero riservati ai clienti che effettuavano una consumazione nell’autogrill, a tal punto gli educatori hanno insistito per acquistare qualcosa per ognuno dei ragazzi all’interno del sopracitato esercizio commerciale ma, purtroppo, l’addetto si è dimostrato inflessibile e i ragazzi si sono dovuti allontanare.

Autismo, la necessità d’inclusione
Tanto premesso, alla luce di quanto descritto, urge una riflessione profonda sul tema della disabilità e della necessità di attuare componenti connotati da profonda empatia, in quanto è fondamentale ricordare che – specialmente in questo periodo segnato dalla pandemia da Covid-19 – abbiamo il dovere morale di diventare una società maggiormente inclusiva nei confronti delle persone con fragilità affinché le stesse possano esprimere appieno le proprie attitudini e ispirazioni e si possa neutralizzare nel contempo la cosiddetta stigmatizzazione aprioristica che – sovente – è dettata da una scarsa conoscenza della disabilità nel suo complesso.

Un insegnamento da trarre
In particolare, per quanto riguarda la vicenda in oggetto, le scuse del gestore dell’area di servizio correlate alla volontà di effettuare una donazione all’associazione protagonista di questa spiacevole vicenda rappresentano un passo avanti. Ma, per trarre un insegnamento maggiormente proficuo da questo episodio, sarebbe oltremodo proficuo e arricchente dal punto di vista morale e umano se il dipendente che ha attuato questa condotta svolgesse del volontariato con questi magnifici ragazzi. Ciò permetterebbe di generare un processo di conoscenza reciproca che eviterebbe senza dubbio il ripetersi di certi comportamenti in futuro e nel contempo conferirebbe maggiore e più concreta attuazione al pensiero di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace nel 1980: “La grande ricchezza dell’umanità sta nella solidarietà”.

Inclusione, con la DaD diminuisce la partecipazione degli alunni disabili: rapporto Istat

Con la didattica a distanza diminuisce la partecipazione degli alunni con disabilità. Questo è uno degli aspetti che emerge dal nuovo Rapporto Istat sull’inclusione scolastica con riferimento all’a.s. 2019/2020.

L’attivazione della Didattica a distanza (DAD) a partire dal 9 aprile scorso per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19, ha infatti rappresentato un ostacolo al proseguimento dei percorsi di inclusione intrapresi dai docenti, riducendo sensibilmente la partecipazione degli alunni con disabilità.

Dal Rapporto ( vedi il rapporto qui Report-alunni-con-disabilità)  Istat risulta che oltre il 23% degli alunni con disabilità (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezionii, quota che cresce nelle regioni del Mezzogiorno raggiungendo la percentuale del 29%.

I motivi che hanno reso difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alla DaD sono diversi; tra i più frequenti sono da segnalare la gravità della patologia (27%), la mancanza di collaborazione dei familiari (20%) e il disagio socio-economico (17%).

Per una quota meno consistente ma non trascurabile di ragazzi, il motivo dell’esclusione è dovuto alla difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione (PEI) alla Didattica a distanza (6%), alla mancanza di strumenti tecnologici (6%) e, per una parte residuale, alla mancanza di ausili didattici specifici (3%).

Insegnanti di sostegno per lo più non specializzati
Il numero di insegnanti di sostegno risulta essere adeguato alle richieste, ma sono pochi gli specializzati.

Nel 37% dei casi si selezionano i docenti per il sostegno dalle liste curricolari; si tratta di docenti individuati per rispondere alla carenza di insegnanti per il sostegno, ma che non hanno una formazione specifica per
supportare al meglio l’alunno con disabilità. Questo fenomeno è più frequente nelle regioni del Nord, dove la quota di insegnanti curricolari che svolgono attività di sostegno sale al 47% mentre si riduce nel Mezzogiorno attestandosi al 24%.

Al Sud pochi assistenti all’autonomia
Nelle scuole italiane gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, che affiancano gli insegnanti per il sostegno, sono più di 57 mila. Si tratta di operatori specializzati, finanziati dagli enti locali, la cui presenza può migliorare molto la qualità dell’azione formativa.

La disponibilità di queste figure professionali varia molto sul territorio. A livello nazionale il rapporto alunno/assistente è pari a 4,6; nel Mezzogiorno cresce a 5,5, con punte massime in Campania e in Molise dove supera, rispettivamente, la soglia di 14 e 13 alunni con disabilità per ogni assistente.

In aumento gli alunni con BES
Rispetto all’anno scolastico 2017/2018, la presenza di studenti con Bisogni educativi speciali all’interno della scuola è cresciuta del 29% sugli alunni iscritti (+60 mila circa). L’aumento è maggiore nelle regioni del Centro (+ 33%) rispetto a quelle del Nord (+26%).

In DAD anche figli del personale sanitario: in presenza solo gli alunni con disabilità o altri BES

Con la nota del 7 marzo del ministero dell’Istruzione viene chiarita la questione della frequenza a scuola in presenza nel caso siano disposte le attività a distanza.

Nella nota ( vedi nota m_pi.AOOGABMI.REGISTROUFFICIALEU.0010005.07-03-2021) si chiarisce che trova applicazione l’art. 43 del DPCM 2 marzo2021 in cui si dispone che resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, secondo quanto previsto dal decreto del Ministro dell’istruzione n. 89 del 7 agosto 2020, e dall’ordinanza del Ministro dell’istruzione n. 134 del 9 ottobre 2020.

Ciò limita quanto previsto dalla nota del 4 marzo, vale a dire la possibilità di frequenza scolastica in presenza anche per gli studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione. Non sono dunque previste deroghe per attività a favore dei figli di lavoratrici e lavoratori dei cosiddetti servizi essenziali.

Tale disposizione ha suscitato sconcerto tra i medici: siamo sconcertati per il susseguirsi di decisioni contrastanti sulla possibilità per i figli dei medici, degli odontoiatri e dei sanitari in genere di poter frequentare la scuola in presenza, ha affermato la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), che chiede il ripristino della deroga.

Nel frattempo sono tante le esperienze che continuano ad essere segnalale nelle scuole: molto spesso capita che ad essere presenti siano solo l’alunno con disabilità e il docente di sostegno, mentre tutti gli altri sono in DAD, ricostruendo quella diade che poco ha a che fare con l’inclusione e che ripresenta in maniera plateale il fenomeno della delega. In alcuni casi, leggiamo in diversi interventi nei social, sono presenti anche gli altri docenti, ma paiono impegnati con gli altri alunni a distanza, mentre ancora una volta è riaffermata la delega, il docente di sostegno come risorsa esclusiva, dedicata.

Non mancano le famiglie che chiedono a gran voce la presenza di piccoli gruppi di compagni a scuola, come pure ancora previsto per favorire i processi di inclusione. Eppure, forse al cento le misure di attenzione per prevenire la diffusione del Covid, questa possibilità non pare essere particolarmente caldeggiata nelle scuole ed anzi, in alcuni casi appare poco visibile, se non in quale modo invisa anche nelle stesse dirigenze.

Nel frattempo lo spettro di un nuovo lockdown si aggira nelle nostre province, mentre la campagna vaccinale procede a tentoni. Proliferano le ordinanze regionali, i ricorsi, le disposizioni dei sindaci. Le attività in presenza vengono disposte e sospese in una schizofrenica sequela che non consente sosta e ristoro.

E’ passato ormai più di un anno e ancora non compare una luce in fondo al tunnel, mentre i nostri figli continuano a chiedere socialità, relazione, presenza, confronto appartenenza. Procediamo a passi incerti, lenti e sfocato è il ricordo del calore di un abbraccio. Eppure scalda ancora.