Tutela Sociale

A scuola, io ero per tutti la sorella del disabile”.“La disabilità di mio fratello mi lascia impotente quando vedo che viene lasciato solo” sono alcune testimonianze di siblings che fanno riflettere

 

Comprendere cosa sia la disabilità nella quotidianità di qualcuno che nasce o diventa fratello o sorella di una persona disabile è un punto di vista che spesso viene trascurato, ma che ha molto da dirci e che molto merita di essere indagato. Parleremo in altro momento nel dettaglio di quanto e come l’avere un fratello disabile travolga e investa la vita del sibling, così come ce lo spiegano e ne studiano la psicologia e le neuroscienze. Qui invece vorrei toccare con mano la questione reale, riportando alcune testimonianze dirette di ragazzi – tutti giovanissimi – che hanno raccontato le loro esperienze di fratello o sorella di persona disabile alla platea dei partecipanti del convegno “Specialmente fratelli – la sfida di crescere con un fratello disabile” tenutosi a Padova lo scorso 27 marzo. Lo voglio fare perché è stata una esperienza emotivamente molto forte, potente e da un certo punto di vista destabilizzante; di certo di straordinario valore. I partecipanti stessi, in una sala strapiena, muta e commossa, possono testimoniare come le parole di questi giovani abbiano contribuito, forse più di molte spiegazioni professionali, a comprendere quanto questo rapporto incredibilmente stretto, esclusivo e unico possa essere fonte di gioia, disagio, amore.
UN PESO CHE MI HA SOFFOCATO – Il primo a intervenire è Alessandro, 35 anni, fratello di una Spina Bifida di trent’anni. La sua testimonianza è forte, diretta, non lascia niente al buonismo e assai poco, purtroppo, all’ottimismo. “Ho sempre vissuto la disabilità di mio fratello come un peso che mi ha soffocato”, apre il suo intervento. Spiegherà poi: “La disabilità di mio fratello mi lascia impotente quando vedo che le porte si chiudono, viene lasciato solo, riceve pochi inviti ad uscire. Mio fratello ha trent’anni: molti alla sua età sono fidanzati, sposati…è difficile accettare questa distanza, questo rifiuto da parte degli altri. E io come fratello ne soffro. Il problema, a differenza magari di disabilità di tipo intellettivo, è che mio fratello capisce, è consapevole della situazione”.

 

LA PAURA DEL FUTURO CHE ARRIVA – Anche Ilaria, neanche trent’anni, è una sibling maggiore. Suo fratello Matteo è nato quando lei aveva sedici anni, e il nucleo familiare di lei – figlia di ragazza madre – si stava finalmente ricomponendo, grazie al nuovo compagno di mamma, che l’aveva anche adottata. “Quando è nato e abbiamo scoperto che aveva la Sindrome di Prader-Willi ho provato una sentimento di rabbia nei suoi confronti: lo ritenevo colpevole di aver minato la felicità della nostra famiglia. All’inizio ho addirittura rifiutato di far visita a lui e a mia madre in ospedale. Posso dire che gli volevo bene ma io non stavo bene. Poi ho spostato la rabbia da lui alla sua malattia, e la prospettiva è completamente cambiata. Oggi ovviamente siamo inseparabili, io mi sono rapportata alla disabilità anche al di fuori della mia famiglia (sono educatrice specializzata in riabilitazione equestre), e questo mi ha aiutato molto. Adesso, è innegabile, inizio a sentire il peso della sua crescita e la mia responsabilità a riguardo. Le implicazioni della sua disabilità sul suo futuro e sul mio. La preoccupazione sulla sua salute futura, ma anche penso molto ai miei genitori che sentono la colpa di lasciarmi questo peso. Io cerco di concentrami sulle cose positive e non pensarci per ora”.

 

ESSERE PER TUTTI LA SORELLA DEL DISABILEIrene è la terza di tre fratelli; quello di mezzo è Luca, con Spina Bifida. “Da che mi ricordi, la vita della famiglia è sempre stata organizzata secondo le sue esigenze: la mattina ci sono da fare cateteri, docce, colazioni per Luca…li fa la mamma. I nostri genitori ci hanno sempre cresciuti spiegandoci i bisogni di Luca. Quello che mi ricordo? Che ai compleanni non si potevano usare palloncini, perché Luca è allergico. A scuola, poi, io ero per tutti la sorella del disabile, ma da parte dei compagni c’era solo curiosità. Ho il mio carattere, ma le maestre attribuivano il mio modo di essere al fatto di avere un fratello disabile: è questo che dicevano ai miei. Nonostante Luca sia al centro della famiglia, i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare nulla: ho sempre fatto gli sport che volevo, mi hanno lasciato fare”. L’impotenza e le paure del futuro emergono dolorosamente tra le righe di queste parole, che Irene pronuncia mentre le si incrina la voce: “Luca adesso passa la mattina in un centro, ma ora dimostra insofferenza. Non vuole uscire molto….”.

 

GENITORI, FATECI DECIDEREGabriele è il fratello di Alessandro, più grande di lui di cinque anni – sul palco con lui, sulla sua carrozzina e le tavoletta per parlare. Alessandro ha una Tetraparesi Spastica Distonica, ovvero – spiega Gabriele – “se vuole alzare una mano può essere che gli parta una gamba: non ha il controllo volontario dei muscoli”. Il discorso di Gabriele è quello di un fratello che, dal suo vissuto, dà dei consigli. “Uno: fate sentire la persona disabile parte di un gruppo. Non serve fare chissà che. Gli basta davvero essere calcolato come persona”. Lo dice perché una cosa che lo ha fatto soffrire è stato sentire su di sé la responsabilità del fatto che suo fratello sia accettato: “E’ tremendo, questo, per un sibling”. E, altra cosa che i genitori dovrebbero evitare, rispetto a questo delicato rapporto, secondo Gabriele: non dare al sibling l’impressione che si sia già deciso che lui sarà obbligato a occuparsene nel futuro: “Per un fratello è una cosa che fa soffrire, ed è difficilissimo parlarne”.

 

FRATELLI ADULTI COMPLICIRiccardo è il fratello maggiore di Giulia (e di Corrado), lei ha la Sindrome di Down, impegnatissima fra sport e altre attività, lei 33, lui 35 anni. “Capii alle elementari che avere una sorella diversa mi portava a essere vulnerabile”, dice Riccardo. “Ricordo che la concentrazione maggiore di attenzioni, in famiglia, era su Giulia. Le maestre stesse dicevano a mia mamma: stia tranquilla che Giulia se la cava; pensi anche agli altri due che ha a casa! Oggi il rapporto con Giulia è splendido: lei è super impegnata con lo sport, “abbiamo partecipato qualche anno fa agli Special Olympics negli Usa – l’ho accompagnata io – ed è stata una esperienza straordinaria. Inoltre Giulia ha un feeling straordinario coi miei due bambini: credo che loro riescano a vedere in lei la straordinaria persona che è”.

 

IL PUNTO DI VISTA DEL FRATELLO DISABILE – Interessante è stata anche la voce dall’altra parte, ovvero quella del fratello con disabilità. A raccontarcela c’era Stefano, 27 anni, sul palco con la sua carrozzina, a spiegarci con una buona dose di ironia che suo fratello lo aiuta a non adagiarsi. “Io sono un diversamente attivo: sono di una pigrizia abissale, e aspetto sempre che gli altri facciano le cose per me. Mio fratello, sedici anni, mi punzecchia, mi dice che devo arrangiarmi. E ha ragione. E poi, visto che so che odio questo termine, mi chiama scherzosamente handicappato: “così ti alleni a rispondere a quelli che te lo usano contro con cattiveria”, dice. E’ uno sprone, insomma, ma anche un compagno di attività: “Siamo andati a Roma a seguire il rugby insieme: lui dice che sono il solito privilegiato perché entro gratis dappertutto, e ne approfitta anche lui…”.

 

QUELLO CHE MI HA INSEGNATO MIO FRATELLO – Molto toccante è stata, infine, l’esperienza di un sibling adulto, letta dallo scrittore Luigi Dal Cin. E’ il racconto di un fratello maggiore, la forte gelosia da bambino perché i genitori si dedicavano a Paolo, due anni più piccolo. “Io allora facevo capricci col cibo (col quale ancora oggi ho qualche problema), mi ammalavo spesso. Quando aveva delle crisi epilettiche avevo sempre paura che potesse morire, così a volte di notte ricordo che stavo sveglio per sentire se respirava. Ricordo il fastidio che provavo ad essere osservato quando andavo in giro”; è un imbarazzo che da adulto si è trasformato in disagio a stare in luoghi pubblici, ancora oggi.
Poi questa testimonianza tocca un aspetto spesso frequente nei siblings: il senso di colpa. “Mi impedivo spesso di fare delle cose, pensando che lui non le poteva fare. Un esempio: non mangiavo le paste ai compleanni perché sapevo che lui non le poteva mangiare. Il senso di colpa è sempre stato molto forte, e mi ha spesso fatto vivere le cose a metà”.
Strascichi, insomma, che rimangono nel presente: “Ora posso dire che, anche se i disagi dell’infanzia non ci sono più, ci vuole molto tempo perché passino. Tuttavia credo anche che mi abbiano dato una sensibilità diversa”. “E poi, Paolo mi ha insegnato a vivere: a vivere nel presente…Paolo vuole vivere sempre! Lo hanno sempre “buttato” in mezzo alla gente, e lui ci sta! Mi ha anche insegnato la gioia e l’ironia: è lui che scherza sui suoi problemi. E mi ha insegnato l’amore: quello che dà e quello che chiede”.

L’autismo entra ufficialmente nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), con un finanziamento ad hoc di 50 milioni di euro: i trattamenti e la diagnosi precoce di tale malattia, che in Italia secondo le stime colpisce tra le 300mila e le 500mila persone, saranno dunque garantiti gratuitamente, o con il pagamento di un ticket a tutti i cittadini e sull’intero territorio nazionale. Un grande passo avanti previsto nella legge sull’autismo approvata a luglio e che, per tante famiglie, si dovrebbe tradurre in un aiuto concreto. Saranno dunque garantiti gli esami e le attività per l’individuazione e la diagnosi precoce del disturbo – che determina deficit nella interazione e nella comunicazione sociale -, ma anche la valutazione multidisciplinare del paziente e gli interventi di riabilitazione e recupero delle capacità a diversi livelli e in relazione alla compromissione delle funzioni. L’obiettivo è quello di garantire un’assistenza uniforme in tutte le regioni poiché al momento, in Italia, l’assistenza alle disabilità intellettive segue percorsi a macchia di leopardo, con realtà di eccellenza e altre di non eccellenza. «Ma non possiamo più accettare – ha detto il ministro Beatrice Lorenzin – tali disparità nel Servizio sanitario nazionale».

Il Caregiver familiare potrebbe uscire dalla sua “invisibilità”, ricevendo anche in Italia quel riconoscimento giuridico che in gran parte dei Paesi europei ha già ottenuto da tempo.

Le legislazioni nei diversi Stati europei prevedono specifiche tutele per i caregiver familiari, tra le quali supporti di vacanza assistenzali, benefici economici e contributi previdenziali, come avviene in Francia, Spagna e Gran Bretagna ma anche in Polonia, Romania e Grecia. Non così invece in Italia, dove manca una piena coscienza e un’adeguata tutela per queste figure.

Per dare una risposta è stato presentato un ddl a prima firma Laura Bignami del Gruppo Misto, che verrà illustrato mercoledì 6 aprile a palazzo Madama, finalizzato a “riconoscere e tutelare il lavoro svolto dai caregiver familiari e a riconoscere il valore sociale ed economico per la collettività”.

Il ddl, in sette articoli, introduce “il riconoscimento della qualifica di caregiver familiari a coloro i quali in ambito domestico si prendono cura, a titolo gratuito, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che risulti convivente ovvero di un minore dato in affidamento, che a causa di una malattia o disabilità necessita di assistenza continua, per almeno 54 ore settimanali”.

I caregiver familiari, spiega infatti la relazione introduttiva al ddl, vivono in una condizione di abnegazione quasi totale, che compromette i loro diritti umani fondamentali: quelli alla salute, al riposo, alla vita sociale e alla realizzazione personale. Non solo, l’impegno costante del caregiver familiare prolungato nel tempo può mettere a dura prova l’equilibrio psicofisico del prestatore di cure ma anche dell’intero nucleo familiare in cui è inserito.

I caregiver, inoltre, operano in un quadro sociale-assistenziale drammatico, caratterizzato da: continui tagli a livello nazionale e locale dei fondi destinati al sostegno delle famiglie in cui vive una persona non autosufficiente; costi sempre maggiori delle Residenze sanitarie assistenziali, che offrono servizi spesso non adeguati; parcellizzazione delle risposte assistenziali ormai rivolte solo ad alcune specifiche categorie.

A distinguere la proposta di Bignami è l’accento posto sulle tutele in quattro settori. Primo, previdenziale: è riconosciuta la “copertura di contributi figurativi, equiparati almeno a quelli da lavoro domestico, a carico dello Stato per il periodo di lavoro di assistenza e cura effettivamente svolto in costanza di convivenza, a decorrere dal momento del riconoscimento di handicap grave del familiare assistito. Tali contributi si sommano a quelli eventualmente già versati per attività lavorative, al fine di consentire l’accesso al pensionamento anticipato al maturare dei trenta anni di contributi totali”.

Secondo, tutela della salute: “sono riconosciute le tutele previste per le malattie professionali ovvero per le tecnopatie riconosciute ai sensi delle tabelle allegate al testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”. Terzo, tutela assicurativa: “è prevista la copertura assicurativa a carico dello Stato con rimborso delle spese sostenute per la vacanza assistenziale nei periodi di impossibilità di prestare il lavoro di cura da parte dello stesso caregiver familiare, durante i periodi di malattia o infermità certificati, a tutela del suo diritto alla salute”.

Quarto, tutela del lavoro e del reddito: “Il caregiver familiare è equiparato ai soggetti beneficiari della legge 12 marzo 1999, n. 68, ai fini del riconoscimento del diritto al lavoro. Tale diritto deve essere garantito, su richiesta del lavoratore caregiver, anche utilizzando la modalità del telelavoro, con l’obbligo per il datore di lavoro di consentire il passaggio a mansioni che si prestino a tale modalità”.

Ad illustrare la proposta alle 17:30 al Senato, nella Sala Caduti di Nassirya, interverranno tra gli altri la senatrice Laura Bignami (Gruppo X), la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco (Gruppo Conservatori riformisti italiani), il senatore Aldo di Biagio (gruppo Ap -Ncd-Udc), la senatrice Loredana de Petris (gruppo Sinistra Italiana – Sinistra ecologia libertà), la senatrice Anna Finocchiaro (gruppo Pd) e Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento nazionale famiglie disabili. A moderare l’incontro Paola Severini Melograni, direttrice di Angelipress.

fonte

http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2016/04/05/disabili-arriva-ddl-caregiver-familiari-saranno-riconosciuti-per-legge_HQygK8xq5o745pHSCJa1wJ.html?refresh_ce

La scorsa primavera l’esecutivo si era appellato ai giudici amministrativi in seguito alle sentenze del Tar del Lazio, che avevano accolto i ricorsi delle associazioni dei portatori di handicap contro il nuovo sistema di calcolo che somma le pensioni di invalidità al reddito. Facendo perdere il diritto ad altri importanti benefici.

L’indennità di accompagnamento per i disabili non può essere conteggiata come reddito. Parola del Consiglio di Stato che boccia la posizione del governo Renzi sul nuovo Isee. La scorsa primavera l’esecutivo si era appellato ai giudici amministrativi in seguito alle sentenze del Tar del Lazio, che avevano accolto i ricorsi delle associazioni dei portatori di handicap contro il nuovo sistema di calcolo che somma le pensioni di invalidità al reddito. Facendo perdere il diritto ad altri importanti benefici. “Deve il Collegio condividere l’affermazione degli appellanti incidentali – si legge nella sentenza depositata lunedì 29 febbraio – quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una ‘remunerazione’ del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l’art. 3 della Costituzione“. In pratica, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito.

Tutto era nato con il varo del nuovo Isee da parte del governo Letta, poi entrato in vigore sotto l’esecutivo Renzi, dopo che un decreto del ministero del Lavoro aveva predisposto i nuovi modelli per la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) a fine Isee. Le modifiche, pensate anche per rendere il modello meno permeabile a elusioni e abusi, hanno coinvolto milioni di persone, visto che la dichiarazione Isee è indispensabile per l’accesso a prestazioni sociali agevolate e aiuti per le situazioni di bisogno. Uno degli aspetti più criticati era proprio l’inserimento dei contributi ricevuti a fine assistenziale nel conteggio nel reddito, cosicché per esempio il titolare di assegni e altre indennità sarebbe risultato in molti casi “ricco” e avrebbe paradossalmente perso il diritto a ulteriori aiuti o per esempio l’accesso alle case popolari. “Io sono madre di un ragazzo costretto a letto che ha diritto a due indennità, come invalido civile e come non vedente – aveva raccontato a ilfattoquotidiano.it Chiara Bonanno, una delle coordinatrici di Stop al nuovo Isee -. Ora questi soldi faranno reddito e avranno conseguenze sulla mia richiesta di affitto agevolato nelle case popolari, nonostante abbia lasciato il lavoro per assistere mio figlio. Noi siamo considerati più ricchi rispetto a una famiglia senza handicap, con una madre vedova e un figlio che risultino senza occupazione, magari perché lavorano in nero. Il problema è questo”.

Sono casi come questo che hanno dato il via ai ricorsi accolti dal Tar ormai un anno fa. I giudici non avevano ritenuto idonee le franchigie introdotte dal governo proprio per abbattere la parte di reddito derivante dai contributi di tipo assistenziale, previdenziale e indennitario. Per questo era stata annullata quella parte del decreto del presidente del Consiglio che considerava come parte del “reddito disponibile” tutti quei proventi “che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie”. Annullata anche la parte di regolamento del nuovo Isee che prevedeva franchigie variabili a seconda che il disabile sia maggiorenne o minorenne: “Non si individua una ragione – recitava la sentenza – per la quale al compimento della maggiore età una persona con disabilità sostenga automaticamente minori spese ad essa correlate”.

Ma il governo e, in particolare, la presidenza del Consiglio e i ministeri del Lavoro e dell’Economia, non si sono adeguati ai rilievi del tribunale amministrativo e, anziché modificare il decreto, hanno deciso di presentare ricorso al Consiglio di Stato. “Sentiti gli uffici competenti dell’amministrazione finanziaria in merito alla richiesta di rafforzare le misure agevolative in favore dei soggetti disabili e delle loro famiglie – aveva spiegato in aula il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti – giova ribadire che qualsivoglia iniziativa normativa dovrà necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica per i quali è opportuno reperire idonei mezzi di copertura finanziaria”. Per questo motivo “la Presidenza del Consiglio dei ministri ha manifestato di condividere la posizione espressa dal ministero (del Lavoro e delle politiche sociali) in ordine all’opportunità di proporre appello dinanzi al Consiglio di Stato, previa sospensione dell’esecutività delle sentenze impugnate”.

“Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva – spiega oggi il Consiglio di Stato -. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa”. Pertanto, “la «capacità selettiva» dell’Isee, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l’artificio di definire reddito un’indennità o un risarcimento, ma deve considerarli per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile”.

Quanto al sistema delle franchigie, i giudici amministrativi di appello sottolineano come “non può compensare in modo soddisfacente l’inclusione nell’Isee di siffatte indennità compensative, per l’evidente ragione che tal sistema s’articola sì in un articolato insieme di benefici ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese i più svariati, onde in pratica i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità”. Infine “non convince il temuto vuoto normativo conseguente all’annullamento in parte qua di detto DPCM, in quanto, in disparte il regime transitorio cui il nuovo Isee è sottoposto, a ben vedere non occorre certo una novella all’art. 5 del DL 201/2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile». All’uopo basta correggere l’art. 4 del DPCM e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto art. 5, c. 1 del DL 201/2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest’ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi”.

FONTE

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/29/nuovo-isee-consiglio-di-stato-boccia-governo-su-disabili-indennita-e-un-sostegno-non-una-remunerazione-per-invalidita/2506648/

Bando per la formazione di un elenco di soggetti autorizzati alla somministrazione dell’ABA a persone affette di autismo

Con questa delibera dsi da il via alla introduzione di ABA per soggetti autistici sulla provincia di Caserta:

A parte la esiguità dei fondi 300.000 euro, a fronte di un pagamento mensile di 2.500 euro per ogni paziente trattato, ci si domanda perchè solo ABA e non altre metodologie.

A seguire il documento che potrete anche scaricare dal sito ufficiale

http://www.aslcaserta.it/portale/Portals/0/doc_pub/2015/BANDI/bando_aba.pdf

file allegato

bando_aba

La Camera ha approvato oggi la proposta di legge sul ‘dopo di noi’. Va accolto e apprezzato lo sforzo della Commissione Affari Sociali di giungere ad un testo unificato di varie proposte e di correggere le distorsioni più palesi presenti nelle prime stesure. Va riconosciuto che, dopo decenni di silenzio, il Legislatore ponga come significativa quella che è una evidente emergenza: la solitudine di molte famiglie e la loro motivata ansia per la sorte dei loro congiunti con disabilità.”

Questa la premessa di Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, al testo approvato a larga maggioranza dalla Camera e che ora passa all’esame del Senato.

Ci auguriamo che in Senato ci possa essere una correzione degli elementi che in questo testo non convincono e innescano, al contrario, molti dubbi.” – prosegue Vincenzo Falabella – “Ci aspettavamo una norma che contrastasse in modo deciso l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità, impedendo il riprodursi di istituti e residenze segreganti. Chiedevamo che fosse prevista e programmata una progressiva deistituzionalizzazione delle persone che oggi vivono recluse in queste strutture. Confidavamo in un organico ripensamento delle politiche e dei servizi mirati a consentire alle persone di vivere dignitosamente nelle loro collettività, nei loro territori, obiettivo ambizioso ma ineludibile. Si delinea, invece, al massimo un fragile obiettivo di servizio, che le Regioni potranno o meno assumere, non certo bilanciato dal divieto di finanziamento di qualsiasi struttura segregante presente o futura né garantito come livello essenziale di assistenza. Anche sulla reale operatività ci sarebbe – comunque vada – moltissimo su cui vigilare.”

Lo stesso strumento del trust è una soluzione per pochi. Nel testo sarebbe stato invece opportuno rafforzare strumenti civilistici già esistenti e alla portata di una platea ben più ampia di beneficiari. E di proposte su tale specifica opportunità ce n’erano, ma sono rimaste lettera morta.”

E da ultimo un appunto lo merita anche il linguaggio adottato già ad iniziare dal titolo: persone ‘affette’ da disabilità. Tradisce un pregiudizio stigmatizzato dalla stessa Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. La disabilità non è una patologia, ma deriva soprattutto da politiche omissive, da servizi carenti, da una società non a misura di tutti.”

Giudizio, quindi, dubitativo da parte della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap che verosimilmente riproporrà emendamenti correttivi nel corso della lettura al Senato.

fonte

http://www.fishonlus.it/2016/02/04/legge-sul-dopo-di-noi-perplessita-da-fish/

Con 374 voti a favore, 11 astenuti e 75 contrari – tra cui il no del M5stelle – è stata approvata dalla Camera la legge “Dopo di noi”.

Un provvedimento atteso da anni – che ora passa al vaglio del Senato – e che risponde all’angoscioso quesito di numerose famiglie italiane: chi si occuperà di mio figlio disabile una volta che sarò morto?

Secondo le stime dell’Istat, il 25,5% degli italiani, ovvero oltre 13 milioni di individui, soffre di una disabilità, e circa 3 milioni di questi, di disabilità gravi.

 

Ashampoo_Snap_2016.02.05_10h24m39s_003_  Disabili. In arrivo la legge “Dopo di noi” Ashampoo Snap 2016

E l’urgenza di dare una risposta a tutto questo, ha spinto una cordata bipartisan Pd-Lega a presentare la proposta di legge sul “Dopo di noi”.

Il presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Mario Marazziti, ha spiegato che “con un Fondo pubblico di 90 milioni per il 2016 e i primi 150 milioni nel triennio, le Regioni e tutti i soggetti interessati potranno garantire percorsi personalizzati per i disabili gravi dopo la morte dei genitori.

Il M5S – che ha votato contro – parla di un favore alla lobby delle assicurazioni e ai privati. Affidando all’iniziativa privata un tema delicato come quello del `dopo di noi – dicono i grillini – si accresce la forbice sociale tra ricchi e poveri e per l’ennesima volta lo Stato arretra e viene messo da parte rispetto alla tutela della salute dei suoi cittadini.

Per Elena Carnevali, deputata del Pd e relatrice della legge, si tratta invece di “un grande risultato perché finalmente si risponde al desiderio dei genitori di assicurare al proprio figlio tutte le cure e l’assistenza di cui necessita dopo la loro morte.

Il valore più grande del voto di oggi è proprio nell’aver introdotto un cambio culturale e di direzione nei confronti della disabilità grave” ha aggiunto Elena Carnevali.

fonte

http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/disabili-arrivo-legge-175544-gSLASSAbWB?refresh_ce=1

Secondo Istat, 630 mila persone con gravi disabilità vivono da sole. La legge di stabilità destina al “Dopo di noi” 90 milioni di euro. Ma sono per gravi disabilità cognitive. La deputata Pd Argentin: “Solo il 10% di queste persone, una volta rimaste senza genitori, riceve aiuto dalle istituzioni. Priorità a continuità alloggiativa, assicurazioni e trust. No a Rsa”

 

ROMA – E’ una delle grandi novità della legge di stabilità, una notizia forse “epocale” per il mondo della disabilità: per la prima volta, un fondo specifico di 90 mila euro viene destinato al Dopo di noi, al sostegno cioè di quelle persone con gravi disabilità rimaste senza genitori. Soldi che però potranno essere spesi solo una volta che la legge sul Dopo di Noi sarà stata approvata. Proviamo quindi a capire quale sia la potenziale platea dei beneficiari di questo stanziamento e cosa preveda la legge nello specifico. Lo faremo qui sotto, con l’aiuto di dati fornitici dall’Istat lo scorso anno e con di Ileana Argentin, prima firmataria della legge. E lo faremo con un focus su uno degli strumenti più innovativi previsti nella stessa legge: il trust.

La platea: 630 mila persone con gravi disabilità vivono da sole. La maggior parte (580 mila) ha dai 65 anni in su. Il prossimo anno, a questa popolazione particolarmente fragile potrebbero aggiungersi altre 2.300 persone. Entro 5 anni, invece, altre 12.600. Entro il 2019, quindi, quasi 13.000 persone in più vivranno la condizione di “dopo di noi. Sono dati rilevati dall’Istat e riferiti in Commissione Affari sociali alla Camera da Linda Sabbadini (direttrice del dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali) esattamente un anno fa

580 mila i disabili gravi “over 65”. Circa 260 mila di questi sono attualmente “figli”, ovvero vivono con uno o entrambi i genitori. E qui c’è un dato da evidenziare: oltre metà di questi (54%) non riceve aiuti dai servizi pubblici né si affida a quelli a pagamento e non può contare sull’aiuto di familiari non conviventi: l’assistenza grava quindi completamente sui familiari conviventi. Solo il 17,6% usufruisce invece di assistenza domiciliare sanitaria o non sanitaria pubblica. Di questi “figli disabili”, circa 86 mila hanno genitori anziani e il 64% è inabile al lavoro. Circa 51 mila disabili gravi giovani e adulti vivono da soli e circa 10 mila di questi non ricevono alcun tipo di sostegno.

1,5 milioni sono le persone disabili gravi anziane, ovvero sopra i 65 anni. Il 43,5% queste (580 mila) vivono da sole, il 25,6% con il proprio partner e il 16,8% con i figli. Complessivamente, il 25% usufruisce di assistenza domiciliare pubblica, ma l’8,4% degli anziani disabili gravi riceve solo l’aiuto dei familiari conviventi.

E’ a questa “platea” di potenziali beneficiari che quindi si rivolge la legge? Lo abbiamo chiesto a Ilean Argentin, prima firmataria, che innanzitutto precisa: “La legge è destinata a chi ha una grave disabilità mentale o cognitiva, mentre per le altre disabilità ho presentato un’altra proposta di legge, quella per la vita indipendente”. Parliamo comunque, per Argentin, di “centinaia di migliaia di persone, per la maggior parte anziane”.

Quante di queste hanno bisogno di supporto?
Indicativamente, posso dire che l’80% non ha attualmente dallo stato nessuna risposta e non riceve alcun tipo di assistenza. Poi c’è un 10% a cui provvedono altri familiari (sorelle o fratelli, soprattutto) e solo un altro 10% che riceve un sostegno dalle istituzioni

Il fondo stanziato per il Dopo di noi basterà a soddisfare i bisogni di tutti?
Assolutamente no, ma è un primo passo importante: abbiamo creato un capitolo di bilancio che prima non c’era. Un fondo altro rispetto a quello per la non autosufficienza. E ricordo che ai 90 milioni del primo anno seguiranno altri stanziamenti.

Quale è lo scopo principale della legge?
Certamente la continuità abitativa, con un’attenzione prioritaria a chi non ha una casa.

Mi sta dicendo che i 90 milioni stanziati saranno utilizzati per creare nuove strutture, come alcune associazioni temono?
No, il fondo sarà impiegato in gran parte per pagare l’assistenza. Gli immobili saranno messi a disposizione per lo più dagli enti locali. E comunque non parliamo di grandi strutture, come alcuni temono, ma di comunità alloggiative di tipo familiare, per un massimo di 7-8 persone. E’ ovvio che la domiciliarità è la strada da incoraggiare, ma non è praticabile per tutti e noi dobbiamo rispondere ai bisogni di ciascuno. La scelta – ecco un altro principio fondamentale della legge – non deve essere in capo alle associazioni né alle istituzioni, ma alle stesse famiglie.

Quali sono le principali novità introdotte dalle legge?
Innanzitutto il trust, che permette la continuità alloggiativa, garantisce la libera scelta e dà alle famiglie la possibilità di organizzarsi “durante di noi”. Poi le assicurazioni, che permetteranno a ciascuna famiglia di stabilire il percorso di vita dl figlio, secondo un calendario dei bisogni, anticipando in un certo senso le spese per sostenere le sue attività. E parliamo di strumenti – tanto i trust quanto le assicurazioni – che saranno defiscalizzati e riceveranno incentivi. Una parte del fondo quindi sarà indirizzata anche a questo. L’obiettivo di fondo, lo ripeto, è rendere protagonista la famiglia, sostenendo le diverse scelte di ciascuna.

fonte

http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Politiche_e_Buoni_Esempi/News/info1797666682.html

E’ una delle principali novità introdotto dalle legge sul Dopo di noi: in Italia esiste dal 1992 e conosce diverse applicazioni anche in ambito sociale. Ai genitori con figli disabili, consente di vincolare un bene e un “progetto di vita”, impegnando il “trustee” a realizzarlo quando loro non ci saranno più

 

ROMA – Si chiama “trust”, in Italia già esiste da tempo, ma ora potrebbe diffondersi molto di più, soprattutto tra le persone disabili e in funzione di quel Dopo di noi a cui Renzi ha dedicato uno stanziamento specifico in legge di stabilità (90 milioni) e di cui si occupa una legge già vagliata alla Camera e in attesa di passare al Senato. Una legge che è il frutto di cinque proposte, unificate e integrate da Ileana Argentin, prima firmataria del testo unificato. Tra le novità principali, c’è una cosa che si chiama “trust“: a incoraggiarne l’inclusione nel testo normativo è stata Francesca Romana Lupoi, avvocato dell’associazione Trust in Italia. “Nessuna delle cinque proposte includeva il trust – ci spiega- che pure già esisteva in Italia dal 1992, in virtù di una convenzione di diritto internazionale. In alcune di queste proposte si parlava invece di ‘fondo di sostegno’, che però non aveva alcuna base giuridica. Per questo, ho proposto di sostituire questa espressione con ‘trust’, ormai ampiamente riconosciuto e praticato dai giudici tutelari. E i legislatori mi hanno seguito”.

Ma in cosa consiste il trust? “E’ una sorta di patrimonio segregato, separato rispetto a quello personale del soggetto che lo gestisce: nel fondo in trust, si va a mettere una somma, un bene mobile o immobile, secondo modalità molto flessibili (per esempio, anche con versamenti periodici, ndr): e questo viene ‘consacrato’, destinato esclusivamente alla finalità prevista. E nessuno può toccarlo, se non il beneficiario”. Il trus, insomma, ha bisogno di tre soggetti: un “disponete”, ovvero il proprietario del bene; il beneficiario; e il “trustee”, ovvero colui che è chiamato a gestire quel bene, secondo le modalità e le volontà indicate dal disponente.

Questo strumento giuridico e finanziario è molto utilizzato in ambito sociale, “anche in caso di donazioni – spiega Lupoi – In questi casi, spesso il disponente è una persona anziana che vuole sostenere una determinata realtà ma non ha le capacità o la possibilità o l’intenzione di occuparsene in prima persona, quindi nomina un trustee”. Anche nell’ambito della disabilità, questo strumento inizia ad essere sempre più conosciuto e utilizzato: “Qui il turaste non è generalmente remunerato, come accade negli altri casi, ma quasi sempre è un membro della famiglia o della rete amicale. Il disponente è di solito il genitore, il beneficiario naturalmente è il figlio disabile. Il bene può essere una somma di denaro, o un immobile, anche lo stesso in cui la famiglia vive attualmente: in questo caso, i genitori possono riservarsene una parte come nuda proprietà. Ma la cosa importante, soprattutto quando parliamo di trust per il Dopo di noi, è che questo è un vero e proprio programma di vita e qui sta la sua forza“. In che senso? “Nell’atto, viene indicato con precisione come la famiglia vuole che sia utilizzato quel bene. Si allegano le cosiddette ‘lettere dei desideri‘, in cui i genitori declinano un vero e proprio progetto per il figlio. In questo modo, sotto questo profilo la loro morte sarà irrilevante, perché il trustee garantirà l’esecuzione di quel progetto e il figlio sarà completamente tutelato”. Il trustee, in definitiva, consiste in un bene vincolato, con un corollario ben preciso di regole e indicazioni a cui il trustee dovrà attenersi: in questo modo, desideri e progetti diventano legge. “Per questo, l’atto di trust è su misura, entra nel cuore dei genitori e nelle abitudini del ragazzo. Il trustee si impegna a realizzare nel miglior modo possibile le volontà dei disponenti. Ed eventuali violazioni saranno perseguibili davanti al giudice”, precisa Lupoi.

Un esempio? Una coppia ha un figlio disabile ormai adulto e una grande casa di proprietà – racconta Lupoi, riferendo di un caso seguito tempo fa – I genitori hanno diviso l’appartamento in due parti, riservandosene una per usufrutto. Nell’altra ala dell’appartamento, il ragazzo ora vive insieme ad altri cinque ragazzi con disabilità, costantemente assistiti dagli operatori di una cooperativa. In questo modo, il Dopo di noi si sta realizzando anche prima. E la famiglia, dopo diversi anni di sperimentazione, si dice molto soddisfatta”.

Ora, con l’inserimento del trust nella legge per il Dopo di noi, questa pratica dovrebbe diffondersi ancora di più in questo ambito: “è infatti prevista la defiscalizzazione, in modo che non siano più dovute imposte ipotecarie e catastali, che ammontano a circa i 3%. Un ulteriore incoraggiamento alle famiglie, affinché utilizzino questo strumento, utile soprattutto nel sostenere quella domiciliarità che da più parti è richiesta”

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Le convivenze tra persone dello stesso sesso disciplinate nel codice civile con diritti assai simili a quelli derivanti dal matrimonio. Ecco in sintesi cosa prevede il disegno di legge Cirinnà all’esame del Senato. Il testo Cirinnà disciplina le unioni civili per le coppie omosessuali e la convivenza in genere. In sostanza crea un nuovo istituto per coppie dello stesso sesso, «avvicina» le unioni gay al matrimonio introducendole direttamente nel codice civile.

– ADOZIONI: Il testo Cirinnà estende alle unioni civili la cosiddetta stepchild adoption, ossia l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma che è figlio biologico di uno solo dei due, prevista dall’articolo 44 della legge sulle adozioni. Nessuna modifica al testo sulla fecondazione assistita

– COSTITUZIONE UNIONE CIVILE: Nel
testo Cirinnà si sottoscrive di fronte a un ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni e
viene iscritta in un registro comunale. È certificata da un documento che attesti la costituzione
dell’unione e che deve contenere: dati anagrafici; regime patrimoniale; residenza. Si può scegliere uno
dei due cognomi o decidere di adottare entrambi i cognomi.

– CAUSE IMPEDITIVE: L’unione civile non potrà essere realizzata se una delle parti: è ancora sposato; è un minore, salvo apposita autorizzazione; ha un’interdizione per infermità mentale; ha un legame di parentela; è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra.

– REGIME GIURIDICO:Per quanto riguarda il regime giuridico ovvero diritti e doveri reciproci, figli,
residenza, concorso negli oneri, abusi familiari, interdizione, scioglimento dell’unione nel testo Cirinnà si applicano gli articoli del codice civile.

– RECIPROCA ASSISTENZA: Il testo Cirinnà riconosce alla coppia diritti di assistenza sanitaria,
carceraria, unione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione
e i doveri previsti per le coppie sposate.

 

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http://www.leggo.it/NEWS/POLITICA/unioni_civili_gay_cirinn_amp_agrave/notizie/1421622.shtml