Mondo Scuola
Inclusione ed integrazione del disabile nel mondo scuola

L’evoluzione dell’inclusione scolastica in Italia
Il concetto di inclusione scolastica entra nel dibattito pedagogico italiano negli anni ’90. Successivamente, si concretizza il passaggio da un approccio basato sull’integrazione degli alunni con disabilità a un modello di didattica inclusiva orientato al pieno sviluppo formativo di tutto il gruppo classe. Il Decreto Inclusione rappresenta solamente l’ultima tappa di questa rivoluzione educativa che mette al centro il valore della diversità come occasione di crescita per tutti gli alunni.

Dall’integrazione all’inclusione nella scuola italiana
Il concetto di inclusione nella scuola italiana è relativamente recente e rappresenta l’ultima tappa dell’evoluzione nel dibattito sulla pedagogia inclusiva. Per comprendere l’attuale fase nella scuola italiana, occorre partire da un importante chiarimento, integrazione non è sinonimo di inclusione.

L’integrazione scolastica può essere letta come l’obiettivo di una strategia didattica per la partecipazione e il coinvolgimento delle persone con disabilità. Con il termine “inclusione”, ci si riferisce invece a una strategia finalizzata alla partecipazione e al coinvolgimento di tutti gli studenti, con l’obiettivo di valorizzare al meglio il potenziale di apprendimento dell’intero gruppo classe. Con il passaggio dall’integrazione all’inclusione si sposta quindi più in là il raggio d’azione della didattica, inserendosi perciò in un contesto educativo di sempre maggiore complessità.

In Italia, a livello scolastico e pedagogico, il concetto di inclusione viene adottato dall’inglese solamente negli anni ’90. Il passaggio non rappresenta solamente un cambiamento terminologico, bensì un’innovazione concettuale e di impostazione istituzionale. L’obiettivo è quello di mettere al centro della scuola il valore della diversità, come occasione di crescita data dall’interazione con una persona con disabilità o con altri tipi di disturbi, che possono essere anche passeggeri.

Si supera così l’idea di una “normalità” della didattica basata sull’omogeneità di chi apprende, passando invece alla visione di classe come realtà caratterizzata da una ampia pluralità di bisogni e necessità individuali. I problemi relativi alla didattica verso persone con disabilità, infatti, non sono altro che una specifica manifestazione di problemi che pongono, in maniera diversa e a volte mascherata, anche gli altri alunni. A livello didattico, la conseguenza più importante di questa evoluzione nel dibattito pedagogico è il superamento dell’illusione che sia possibile una strategia didattica standardizzata. La didattica inclusiva deve essere intesa perciò come una trasformazione dell’ambiente educativo che coinvolge e favorisce l’intera comunità scolastica, non solamente l’alunno con disabilità.

Le tappe fondamentali dell’inclusione nella normativa scolastica italiana
L’attuale assetto di strumenti e pratiche che garantiscono l’inclusione di tutti gli alunni nelle scuole italiane è il frutto di una stratificazione normativa lunga decenni. Un percorso complesso, fatto di piccoli passi e di grandi balzi in avanti.

Le linee guida del 2009
È impossibile parlare di inclusione scolastica senza citare uno dei documenti pedagogici e normativi più importanti a livello didattico, ovvero le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 2009. È con questo documento, infatti, che si gettano le basi per l’utilizzo dell’ICF (International Classification of Functioning) come modello di riferimento per la classificazione della disabilità. Con l’adozione dell’ICF, elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2010, si tengono in considerazione tutti i fattori contestuali del processo educativo, sposando quindi un approccio di tipo “ecologico” (ovvero che dà la giusta importanza all’ambiente educativo) come punto di partenza per l’inclusione scolastica. Nelle Linee Guide del 2009 si stabiliscono così due concetti fondamentali:

l’accettazione delle diversità presentate dagli alunni disabili come fonte di arricchimento;
l’importanza di prestare attenzione ai bisogni di ciascuno, non solamente quindi alle esigenze degli alunni affetti da particolari disturbi.
La legge 170/2010
Il successivo passaggio normativo è rappresentato dalle “Nuove norme in materia di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) in ambito scolastico” contenute nella Legge 170/2010. È con questa legge che si concretizza l’approccio innovativo dell’inclusione scolastica e si definiscono tutti gli strumenti e le metodologie per consentire il pieno sviluppo del processo formativo a partire dalla singolarità e complessità di ogni persona. Al centro di questa strategia, vengono così inserite la personalizzazione e l’individualizzazione dell’offerta didattica.

La Direttiva sui BES del 2012
Nel 2012, la necessità di dare sempre più centralità agli studenti ha portato il Miur a redigere una specifica Direttiva Ministeriale intitolata “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, in cui si riconosce la possibilità che un alunno presenti esigenze didattiche particolari anche in assenza di DSA. Di conseguenza, si organizzano criteri didattici inclusivi per tutti quegli studenti che presentano difficoltà dovute a cause socio-ambientali, culturali o familiari. Questo passaggio ha rappresentato sicuramente una rivoluzione culturale per l’istituzione scolastica, soprattutto per il potenziamento della cultura dell’inclusione che ne consegue.

Il Decreto Inclusione 2017 – 2019
Il Decreto inclusione rappresenta l’ultima tappa, in ordine di tempo, del percorso verso la realizzazione dell’inclusione scolastica. La sua prima stesura è del 2017, modificata poi nel 2019. Con questo decreto, il governo ha introdotto importanti modifiche, consolidando e approfondendo la scelta per la personalizzazione della didattica. Tra le altre cose, viene dato maggior peso al ruolo delle famiglie, si creano i Gruppi di Inclusione Territoriale e i Gruppi di lavoro operativi per l’inclusione. Il nucleo della riforma è sicuramente concentrato nei Piani Educativi Individualizzati (PEI), che vengono così ad essere gli strumenti fondamentali con cui il consiglio di classe è tenuto a disegnare un piano didattico specifico per ogni alunno disabile.

Riusciremo finalmente a dare un senso concreto alla nostra legge sull’inclusione scolastica che, come è noto, “tutto il mondo ci invidia” ? Il problema di un corretto impiego del sostegno scolastico è annoso, soprattutto le famiglie con ragazzi nello spettro autistico sanno bene come sia vano immaginare allo stato delle cose una corretta e reale inclusione del proprio figlio. La migliore delle ipotesi è trovare un insegnate formato, coscienzioso e con sufficiente autorevolezza per porsi come interlocutore con il corpo docenti e con il dirigente scolastico. Non è detto che ciò non avvenga ma quasi sempre come eccezione, dovuta a una fortunata alchimia tra serio e competente impegno individuale e un insieme di insegnanti, genitori e ragazzi che permettono di mettere in atto un percorso utile e didatticamente importante per tutti.

La regola che ben conosciamo è quella di una mancanza di formazione base sulla gestione della neurodiversità, un atteggiamento di fastidio da parte degli insegnanti curricolari che vedono la presenza del disabile psichico e relazionale come un impedimento a svolgere il loro lavoro. La maggior parte degli studenti nello spettro ha passato un periodo scolastico non all’altezza di quello di cui avrebbero diritto. L’argomento dei docenti di sostegno “specializzati” è sempre stato considerato tabù, come se fosse la condanna a rimanere a vita in una sotto-categoria di docenti. E’ noto invece che per moltissimi passare per il sostegno è un escamotage per accedere alla condizione di docente di ruolo, un impegno quindi transeunte, affrontato con una formazione farsa, mirato a trovare prima possibile la sede più opportuna per le proprie aspirazioni.

Finalmente si è concretizzata una Proposta di Legge sulla Continuità didattica dei docenti di sostegno e altre norme che mirano a rendere la scuola concretamente inclusiva per tutti gli alunni e le alunne con disabilità. La Proposta di Legge è stata presentata presso il Ministero dell’Istruzione da una delegazione della Federazione FISH, che il sottosegretario Sasso si è impegnato a fare propria. Oltre a specifiche classi di concorso per il sostegno, pur con la possibilità della mobilità professionale, il testo si occupa tra l’altro anche delle scuole paritarie e degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione

«Si tratta – spiega Vincenzo Falabella, presidente della Fish – di una proposta normativa presentata a nome dell’intero mondo associativo che rappresento e che prevede in primo luogo l’istituzione di nuove ed apposite quattro classi di concorso per il sostegno, riguardanti le scuole di ogni ordine e grado, che porteranno in classe solo docenti specializzati e a tempo indeterminato». Per chi desidererà successivamente spostarsi su una cattedra curricolare per la quale sia abilitato, è prevista la mobilità professionale, sulla base degli appositi concorsi. «Molti attuali docenti per il sostegno, che godono – unici del corpo docente – del privilegio di poter indifferentemente occupare sia i posti curricolari nei quali hanno vinto il concorso che quelli di sostegno, si oppongono alla richiesta dell’istituzione delle apposite classi di concorso per il sostegno con la motivazione che, qualora esse venissero istituite, essi sarebbero “condannati a vita” a fare sostegno, subendo così un logorio psicologico e professionale», si legge nel documento: «A tale obiezione la presente proposta di legge risponde con l’art. 1 comma 3 che per loro, come per tutti i docenti di ruolo, è applicabile l’istituto della “mobilità professionale”, cioè del passaggio di cattedra da sostegno a cattedra comune, purché ne abbiano l’abilitazione e sulla base degli annuali appositi concorsi. Ci sembra questa una ragionevole soluzione per venire incontro alle resistenze di molti docenti di sostegno, che si oppongono oggi a specifiche classi di concorso per non essere “condannati a vita” a fare sostegno», spiega Falabella.

Tra i principi che animano la proposta di legge, nell’ottica del miglioramento dell’inclusione scolastica, c’è innanzitutto quello della continuità didattica, con la previsione che i docenti specializzati a tempo indeterminato per il sostegno didattico non possano, di norma, usufruire della citata mobilità professionale, sino a quando l’alunno con disabilità per il quale siano stati nominati abbia completato il triennio della scuola dell’infanzia, il quinquennio della primaria, il biennio della secondaria di secondo grado e il successivo triennio. A richiesta delle famiglie e dopo valutazione del Dirigente scolastico, inoltre, i docenti a tempo determinato già nominati per un biennio potranno proseguire nell’anno successivo con lo stesso alunno e sulla stessa sede, in coerenza con la loro posizione in graduatoria ovvero a parità di punteggio. «Non si impedisce a quanti, situati positivamente in graduatoria per gli incarichi e le supplenze, di ricevere la nomina; solo che per quell’anno debbono accettare una sede diversa, essendo, quella da loro prescelta, assegnata in base a questa norma speciale al docente che deve assicurare il rispetto del principio della continuità didattica previsto dalla legge di delega n. 107/2015», si legge.

Un passaggio di notevole importanza riguarda le scuole paritarie: la proposta di legge chiede che anche qui gli alunni e le alunne con disabilità abbiano diritto, al pari delle scuole statali, ad avere assegnati dallo Stato i docenti per il sostegno e dalle Regioni e dai Comuni gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione. «Ovviamente la norma comporta aumento di spesa. Però, se si pensa che gli alunni con disabilità attualmente frequentanti le scuole paritarie non superano i 15.000 alunni e si confronta con la spesa per le massicce immissioni in ruolo di decine di migliaia di docenti, si prenderà atto che questa spesa, costituzionalmente legittima e dovuta, rappresenta una spesa assai meno rilevante di quella che lo Stato ed Enti territoriali hanno risparmiato in cinquanta anni di normativa inclusiva realizzata in Italia con la mancata applicazione del comma 4 dell’art 34 della istituzione», afferma il documento.

L’articolo 8 interviene sul tema della formazione iniziale e in servizio dei docenti per il sostegno didattico. Se è nota la carenza di docenti specializzati sul sostegno didattico (sono specializzati oggi solo un terzo degli insegnanti di sostegno), la possibilità di istituire Scuole di specializzazione per il sostegno didattico e per l’inclusione scolastica presso le università che hanno un dipartimento di scienze della formazione, consentirà di formare a ciclo continuo docenti specializzati sul sostegno didattico che potranno poi essere immessi in ruolo sulla base delle facoltà assunzionali determinate da MEF e dal Ministero dell’Istruzione.

Continuità didattica dei docenti di sostegno e altre norme che mirano a rendere la scuola finalmente e concretamente inclusiva per tutti gli alunni e le alunne con disabilità: se ne occupa una Proposta di Legge presentata presso il Ministero dell’Istruzione da una delegazione della Federazione FISH, che il sottosegretario Sasso si è impegnato a fare propria. Oltre a specifiche classi di concorso per il sostegno, pur con la possibilità della mobilità professionale, il testo si occupa tra l’altro anche delle scuole paritarie e degli assistenti all’autonomia e alla comunicazione

I e

Il testo completo della Proposta di Legge ( testo proposta-di-legge-su-inclusione-e-personale-di-sostegno) . Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.

Inclusione, con la DaD diminuisce la partecipazione degli alunni disabili: rapporto Istat

Con la didattica a distanza diminuisce la partecipazione degli alunni con disabilità. Questo è uno degli aspetti che emerge dal nuovo Rapporto Istat sull’inclusione scolastica con riferimento all’a.s. 2019/2020.

L’attivazione della Didattica a distanza (DAD) a partire dal 9 aprile scorso per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19, ha infatti rappresentato un ostacolo al proseguimento dei percorsi di inclusione intrapresi dai docenti, riducendo sensibilmente la partecipazione degli alunni con disabilità.

Dal Rapporto ( vedi il rapporto qui Report-alunni-con-disabilità)  Istat risulta che oltre il 23% degli alunni con disabilità (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezionii, quota che cresce nelle regioni del Mezzogiorno raggiungendo la percentuale del 29%.

I motivi che hanno reso difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alla DaD sono diversi; tra i più frequenti sono da segnalare la gravità della patologia (27%), la mancanza di collaborazione dei familiari (20%) e il disagio socio-economico (17%).

Per una quota meno consistente ma non trascurabile di ragazzi, il motivo dell’esclusione è dovuto alla difficoltà nell’adattare il Piano educativo per l’inclusione (PEI) alla Didattica a distanza (6%), alla mancanza di strumenti tecnologici (6%) e, per una parte residuale, alla mancanza di ausili didattici specifici (3%).

Insegnanti di sostegno per lo più non specializzati
Il numero di insegnanti di sostegno risulta essere adeguato alle richieste, ma sono pochi gli specializzati.

Nel 37% dei casi si selezionano i docenti per il sostegno dalle liste curricolari; si tratta di docenti individuati per rispondere alla carenza di insegnanti per il sostegno, ma che non hanno una formazione specifica per
supportare al meglio l’alunno con disabilità. Questo fenomeno è più frequente nelle regioni del Nord, dove la quota di insegnanti curricolari che svolgono attività di sostegno sale al 47% mentre si riduce nel Mezzogiorno attestandosi al 24%.

Al Sud pochi assistenti all’autonomia
Nelle scuole italiane gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, che affiancano gli insegnanti per il sostegno, sono più di 57 mila. Si tratta di operatori specializzati, finanziati dagli enti locali, la cui presenza può migliorare molto la qualità dell’azione formativa.

La disponibilità di queste figure professionali varia molto sul territorio. A livello nazionale il rapporto alunno/assistente è pari a 4,6; nel Mezzogiorno cresce a 5,5, con punte massime in Campania e in Molise dove supera, rispettivamente, la soglia di 14 e 13 alunni con disabilità per ogni assistente.

In aumento gli alunni con BES
Rispetto all’anno scolastico 2017/2018, la presenza di studenti con Bisogni educativi speciali all’interno della scuola è cresciuta del 29% sugli alunni iscritti (+60 mila circa). L’aumento è maggiore nelle regioni del Centro (+ 33%) rispetto a quelle del Nord (+26%).

In DAD anche figli del personale sanitario: in presenza solo gli alunni con disabilità o altri BES

Con la nota del 7 marzo del ministero dell’Istruzione viene chiarita la questione della frequenza a scuola in presenza nel caso siano disposte le attività a distanza.

Nella nota ( vedi nota m_pi.AOOGABMI.REGISTROUFFICIALEU.0010005.07-03-2021) si chiarisce che trova applicazione l’art. 43 del DPCM 2 marzo2021 in cui si dispone che resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, secondo quanto previsto dal decreto del Ministro dell’istruzione n. 89 del 7 agosto 2020, e dall’ordinanza del Ministro dell’istruzione n. 134 del 9 ottobre 2020.

Ciò limita quanto previsto dalla nota del 4 marzo, vale a dire la possibilità di frequenza scolastica in presenza anche per gli studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione. Non sono dunque previste deroghe per attività a favore dei figli di lavoratrici e lavoratori dei cosiddetti servizi essenziali.

Tale disposizione ha suscitato sconcerto tra i medici: siamo sconcertati per il susseguirsi di decisioni contrastanti sulla possibilità per i figli dei medici, degli odontoiatri e dei sanitari in genere di poter frequentare la scuola in presenza, ha affermato la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), che chiede il ripristino della deroga.

Nel frattempo sono tante le esperienze che continuano ad essere segnalale nelle scuole: molto spesso capita che ad essere presenti siano solo l’alunno con disabilità e il docente di sostegno, mentre tutti gli altri sono in DAD, ricostruendo quella diade che poco ha a che fare con l’inclusione e che ripresenta in maniera plateale il fenomeno della delega. In alcuni casi, leggiamo in diversi interventi nei social, sono presenti anche gli altri docenti, ma paiono impegnati con gli altri alunni a distanza, mentre ancora una volta è riaffermata la delega, il docente di sostegno come risorsa esclusiva, dedicata.

Non mancano le famiglie che chiedono a gran voce la presenza di piccoli gruppi di compagni a scuola, come pure ancora previsto per favorire i processi di inclusione. Eppure, forse al cento le misure di attenzione per prevenire la diffusione del Covid, questa possibilità non pare essere particolarmente caldeggiata nelle scuole ed anzi, in alcuni casi appare poco visibile, se non in quale modo invisa anche nelle stesse dirigenze.

Nel frattempo lo spettro di un nuovo lockdown si aggira nelle nostre province, mentre la campagna vaccinale procede a tentoni. Proliferano le ordinanze regionali, i ricorsi, le disposizioni dei sindaci. Le attività in presenza vengono disposte e sospese in una schizofrenica sequela che non consente sosta e ristoro.

E’ passato ormai più di un anno e ancora non compare una luce in fondo al tunnel, mentre i nostri figli continuano a chiedere socialità, relazione, presenza, confronto appartenenza. Procediamo a passi incerti, lenti e sfocato è il ricordo del calore di un abbraccio. Eppure scalda ancora.

La Rete dei 65 movimenti (composta da 105 associazioni, comitati e altri autorevoli esponenti della società civile) si dissocia totalmente dal gravissimo tentativo, reso pubblico nella data del 15 marzo, di “aggiustare e ripulire” il decreto delegato sull’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità (ecco il link al parere favorevole sull’atto del Governo 378 pubblicato ieri 17-03-2017 )

Come abbiamo sempre affermato in numerosi sedi, questo testo è inemendabile e rappresenta un attacco gravissimo all’inclusione, al principio di non discriminazione, alla crescita armoniosa degli alunni/studenti “comunque abili”, e dunque alle loro famiglie, ai lavoratori del comparto scuola e agli operatori specializzati nelle diverse attività di assistenza (alla comunicazione, autonomia, ingiene), necessarie agli alunni/studenti con disabilità.

Il succitato tentativo di ridisegnare l’atto 378 ha prodotto, come era evidente e prevedibile, una mostruosità, priva di anima, nonostante una virata sul registro linguistico, attraverso gli evocativi termini “bambine e bambini” o “alunni e alunne” (che ben lieve effetto sortiscono, perché disgiunti dal ritiro del decreto delegato sull’infanzia, noto come 0-6, o da un’esplicita tutela per gli studenti non frequentanti, che hanno bisogno della scuola ospedaliera e domiciliare, ad esempio).

Per non parlare del girone dantesco nel quale precipiteranno le famiglie e i loro figli, nella speranza di superare più di cinque pareri, commissioni e percorsi labirintici, prima di avere qualche certezza sulla vita scolastica e i servizi irrinunciabili a essa legati.

Continua a permanere: la condizione dei diritti all’esistenza delle risorse disponibili; il GIT, organismo inutile che costerà oltre 13 milioni di euro, tolti alla scuola dell’inclusione; si prevedono i contributi economici alle scuole private, con il rischio delle “scuole speciali”, senza che si abbia il coraggio di dire a quanto ammonteranno queste somme; nel momento più importante per il futuro dei propri figli (i propri angeli) con disabilità, i padri e le madri sono lasciati soli con un esercito di personale sanitario e para-sanitario, nonché qualche rappresentante della scuola adibito a freddo burocrate, che dovranno decidere come “funziona” un bambino/a con disabilità, senza che sia prevista una figura educativa, pedagogica, di sostegno, ecc…; tutto viene deciso da questa “super-commissione” para-sanitaria; nessuno quantifica le ore di sostegno necessarie per ogni singolo bambino/a; si prevedono ben 4 momenti valutativi/accertativi ad opera di differenti gruppi di persone; una montagna di carte e una burocrazia pazzesca che dovrà confluire al GIT, organismo costosissimo. Una follia. Riteniamo gravissima l’accondiscendenza della Fish e della Fand ad un testo mostruoso.

La Rete dei 65 movimenti, oggi in sciopero per il ritiro dei decreti attuativi della Legge 107 del 2015, coerentemente col proprio obiettivo e mandato, fornirà a breve alle famiglie e ai soggetti coinvolti, in via diretta e a mezzo stampa, un vademecum per la lettura di questo “astruso e periglioso testo”.

Qui il comunicato stampa

Ashampoo_Snap_2017.03.21_19h51m43s_003_  No alla riforma del sostegno scolastico: meno diritti per i disabili Ashampoo Snap 2017

pag.2  No alla riforma del sostegno scolastico: meno diritti per i disabili pag
Fonte

https://retedei65movimenti.wordpress.com/2017/03/17/no-alla-riforma-del-sostegno-emendata-vogliamo-il-ritiro/

Nel 2017 parte la scuola pubblica ispirata agli studi della Bicocca

Il comune annuncia l’avvio della sperimentazione per l’innovazione scolastica alla Don Rimoldi di San Fermo, il progetto si chiama “Una scuola”

La nuova scuola sperimentale ispirata al manifesto educativo “Una scuola” è realtà. La prima classe, a tempo pieno e nella scuola pubblica, sarà attiva da settembre 2017 a San Fermo alla scuola primaria statale 4 Novembre dell’Istituto comprensivo Varese 1 Don Rimoldi.

L’iniziativa è stata presentata in comune dall’assessore Rossella Dimaggio, e dai promotori del progetto, davanti a un nutrito gruppo di genitori, che figuravano tra i firmatari di un appello per attivare questa sperimentazione all’interno delle scuole pubbliche del comune di Varese.

La Primaria 4 Novembre, inserita nell’istituto comprensivo Don Rimoldi, ha accolto con entusiasmo l’idea.

IL MANIFESTO

Il progetto nasce dal manifesto “Una scuola”, frutto del lavoro di due ricercatrici del Dipartimento di scienze umane per la formazione “Riccardo Massa”, Francesca Antonacci e Monica Guerra, presenti oggi in comune per raccontare la scuola.

una-scuola-finlandese-586119.610x431  A Varese una scuola senza compiti una scuola finlandese 586119

In particolare, entrambe le ricercatrici hanno ricordato il senso di comunità che animerà l’intera scuola e confermato che il metodo educativo si basa sulla fine della rigida compartimentazione in orari e discipline come nella scuola tradizionale. L’esperimento è balzato alla cronache nei mesi scorsi come ispirato ai metodi educativi della scuola finlandese, con lezioni all’aria aperta, assenza di compiti, tempo pieno e un sistema più partecipato nella costruzione dei giudizi.

L’idea piace a molti genitori, e durante la conferenza stampa alcune mamme hanno spiegato che si sta anche cercando uno scuolabus che aiuti le famiglie.

LA BICOCCA

Il progetto è stato accolto dagli insegnanti Rosaria Violi e Luca Tondini, e dall’Istituto Don Rimoldi coordinato dalla dirigente Maria Rosa Rossi che hanno preso in carico l’attivazione di una classe fondata sulle linee guida del manifesto. Un aspetto molto interessante è che la didattica sarà coordinata anche da un lavoro di osservazione e verifica da parte dell‘università Bicocca di Milano, che ne ha elaborata l’impianto teorico. L’assessore Dimaggio ha espresso molto entusiasmo per l’avvio della sperimentazione: “E’ una grande opportunità e sono molto felice che nasca nella scuola pubblica, a cui tutti crediamo profondamente”.

fonte

http://www.varesenews.it/2016/12/nel-2017-parte-la-scuola-pubblica-ispirata-agli-studi-della-bicocca/580925/

Buona scuola

Buona scuola e disabilità: così si torna indietro di 40 anni!

Agpd esprime grande preoccupazione per i decreti attuativi della legge 107/2015 Buona scuola in tema di miglioramento dell’istruzione e delle inclusione degli alunni e studenti con disabilità, e lancia un grido di allarme: questi decreti violano l’articolo 3 della Costituzione e facendosi beffe della Convenzione Onu sui diritti delle persone con Disabilità, ci proiettano indietro di anni, a tempi di marginalizzazione e di medicalizzazione.

“Non condivido la soddisfazione per le aperture del Governo, raccolta da parte delle associazioni, rappresentative a  livello nazionale” – riferisce Rita Viotti, presidente di AGPD – “perché trovo di una gravità inaudita il mancato coinvolgimento del mondo associazionistico in fase di stesura. Questi decreti legittimano giuridicamente l’involuzione culturale, cui assistiamo già da qualche anno nelle scuole. Richiedere delle modifiche è certamente doveroso, ma temo che l’impegno di molti riuscirà a migliorare di poco il pasticcio fatto”.

Da anni, i pedagogisti di AGPD Onlus raccolgono segnali allarmanti di un processo di marginalizzazione in corso. A volte sono chiamati a intervenire per supportare, condividere buone prassi e strumenti educativi. Le richieste provengono da insegnanti, che manifestano apertamente il peso della propria inadeguatezza e la mancanza di una formazione adeguata. In questi casi, parliamo di ambienti in cui non è ancora venuta meno l’attenzione alla persona e il desiderio di lavorare in un’ottica inclusiva.

Ma cosa accadrà domani? I punti critici sono tanti; proviamo a considerare quelli a nostro avviso più rilevanti.
Con i Decreti si stabilisce la formazione specialistica per gli insegnanti di sostegno e non per tutti i docenti. Si porranno le basi di una separazione della carriera dei docenti e si finirà per investire l’insegnante di sostegno del compito di referente unico per l’integrazione, minando il senso della contitolarità.
Non escludiamo che ad attenderci dietro l’angolo ci siano: interventi mirati in gruppi ristretti, classi separate e progetti dedicati, anticamere di scuole speciali di vecchia memoria, costruite e volute con la presunzione di perseguire il bene della persona disabile.
I nuovo Decreti affidano a una commissione medica, legale e sanitaria, la valutazione della persona con disabilità che oggi è frutto di un lavoro di analisi fatto da: terapisti della riabilitazione, operatori sociali e della famiglia (per altro quest’ultima perde di centralità, relegata a una funzione meramente accessoria, chiamata a “chiedere”, “consegnare”, “aiutare a scrivere”). C’è di più, la valutazione avviene un’unica volta, al momento dell’accesso alla scuola dell’infanzia, e non si prevedono aggiornamenti al passaggio da un ordine scolastico all’altro. Dunque un unico documento, incurante del percorso di crescita proprio di ciascun individuo, segna l’intero percorso scolastico dello studente.
Con i Decreti, il PEI, Piano Educativo Individualizzato, sebbene ancora affidato a scuola, famiglia, Asl, viene approvato dai soli docenti. Al genitore non è nemmeno richiesto di apporre la propria firma, per suggellare il patto, l’azione condivisa a favore della persona. In essoscompare l’indicazione annuale delle ore di sostegno da assegnare alla persona, attribuzione demandata al nuovo GTI, Gruppo Territoriale per l’Inclusione.
Sarà interessante capire come verranno assegnate queste ore, quali parametri oggettivi consentiranno un’equa distribuzione da parte del GTI, che nei fatti, non avrà alcuna conoscenza della persona e dei suoi bisogni specifici. Quel che è certo: il meccanismo eliminerà le possibilità di controversie e di ricorsi familiari in caso di inadempienze.

In sintesi, la portata innovativa e culturale dei Decreti è venuta meno, e il principio cardine appare la contrazione dei diritti, un’operazione di semplificazione e facilitazione non convincente.
Dopo 40   anni di storia e leggi a favore dell’integrazione, addolora ritrovarsi a considerare il senso dell’autentica inclusione e di una diversità  che ancora non appare per quel che è: un valore, un valore per tutti, in una società ugualitaria.

In conclusione: che cosa vorremmo chiedere?  Di rigettare i Decreti, integralmente.
Vorremmo un ritiro, ma, detto in solitaria e di fronte all’arroganza di chi ha rifiutato il confronto in fase di stesura, siamo consapevoli di quanto inutile possa risultare questa richiesta.
Ci limiteremo dunque ad auspicare  che i danni possano essere minimizzati, raccogliendo le voci dei tanti  che in questi giorni si stanno adoperando con la richiesta di cambiamenti e modifiche, senza tuttavia privarci della convinzione che a livello culturale il danno è stato fatto e che saranno i nostri figli a pagarne le conseguenze.

 

fonte

 

http://www.agpd.it/buona-scuola-e-disabilita-indietro-di-40-anni/

Triste dirlo ma perchè in Italia si parla tanto di inclusione e poi vogliono discriminare con leggi e leggine la disabilità?

Ecco un esempio

 

Niente colpi di mano: verrà cancellata la parte delle delega della L.107/15 sul sostegno che avrebbe negato a molti alunni disabili il diritto a conseguire il diploma di licenza media.

 

Alessandro Giuliani

Niente colpi di mano: verrà cancellata la parte delle delega della L.107/15 sul sostegno che avrebbe negato a molti alunni disabili il diritto a conseguire il diploma di licenza media.

Dopo i Partigiani della Scuola Pubblica e i movimenti anti-decreto, negli ultimi giorni, dalle pagine della Tecnica della Scuola, aveva espresso il suo disappunto anche l’avvocato Salvatore Nocera, che fa capo all’associazione Fish.

A confermare la volontà di stralciare la norma è stata la Ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli rispondendo in questo modo alle crescenti preoccupazioni espresse da famiglie, sindacati e associazioni che tutelano i disabili e le loro famiglie, per il contenuto di diversi punti del decreto legislativo sulle “norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (Atto 378).

“Tutte le studentesse e gli studenti con disabilità – ha spiegato Fedeli – saranno messi nelle condizioni di svolgere al meglio il proprio percorso di studi e di concluderlo sostenendo prove che attestino le loro specifiche competenze e abilità, in base al Piano educativo individualizzato, predisposto di proposito per loro”, ha detto anche

Con particolare riferimento agli esami conclusivi del primo grado. “Voglio rassicurare- ha continuato il ministro – famiglie, sindacati e associazioni. Il decreto attuativo sull’inclusione scolastica nasce dalla volontà e dalla determinazione di dare alle ragazze e ai ragazzi con disabilità pari opportunità formative e una qualità della vita all’altezza delle loro esigenze e dei loro sogni. Per questo le imprecisioni o le problematiche emerse verranno migliorate in ambito parlamentare“.

“Abbiamo chiaro che la disabilità è ricchezza, non è qualcosa in meno ma una positiva diversità e la nostra azione – ha proseguito la ministra – sarà improntata su questo principio cardine”.

Nei giorni scorsi Valeria Fedeli ha incontrato diversi rappresentanti delle associazioni per ascoltare le loro istanze e gli stessi sono stati ascoltati nelle Commissioni che stanno esaminando il decreto in Parlamento e nell’Osservatorio sull’inclusione del Miur.

“Rispetto all’esame di secondaria di primo grado – aggiunge la Ministra – la stessa legge 104 del 1992 stabilisce chiaramente che le studentesse e gli studenti della scuola dell’obbligo debbano essere verificati in base agli obiettivi del Piano educativo individualizzato, affinché si possa ragionare sulle abilità specifiche sviluppate e potenziate durante gli anni di studio”.

“Continueremo su questa strada e rafforzeremo una scuola di diritti e di opportunità che metta al centro le ragazze e i ragazzi, le loro peculiarità e il loro desiderio di futuro. Vogliamo costruire per loro una scuola che li accompagni nel domani. E una società che li accolga e faccia della loro diversità un’occasione di crescita globale”, ha concluso la responsabile del Miur.

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http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/salva-la-licenza-media-dei-disabili-parola-di-ministro-faranno-gli-esami-in-base-al-pei.flc

Uno dei tasselli più qualificanti della riforma della scuola è costituito dall’intervento sul sostegno che prevede un cambiamento significativo nell’inclusione dei disabili nel sistema educativo italiano. La riforma del sostegno prevede, tra le altre cose, una formazione maggiore per gli insegnanti specializzati sulle diverse forme di disabilità.

Davide Faraone, il responsabile scuola per il Pd, ha presentato il progetto di riforma del sostegno scolastico spiegando “La proposta fa cardine su quattro aspetti principali:

  • formazione degli insegnanti e continuità educativa;
  • garanzia dei diritti degli alunni;
  • migliore organizzazione territoriale;
  • rapporti con le famiglie”.

Con norme apposite si intende garantire la continuità educativa affiancandola, laddove è necessaria, con l’assistenza nell’istruzione domiciliare ma si è prevista anche la possibilità di somministrare farmaci a scuola. Una vera rivoluzione la proposta di legge elaborata dallaFish e sostenuta dal Pd e dallo stesso ministro Giannini, con la quale si vuol provare a superare la delega al docente di sostegno e si prova a puntare, appunto, alla formazione dei docenti stessi.

La proposta ha origine da un testo presentato dalla deputata Pd Katia Zanotti nel 2006, il testo però non ebbe seguito a causa della fine della legislatura lasciando alla scuola tutte le criticità legate all’inclusione scolastica.

L’originaria proposta di legge del 2006 è stata ripresa, poi, quando nel 2012 fu emanato il Dpr del 4 ottobre con il quale veniva approvato dal Governo il Piano d’azione per attuare la Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. La proposta di legge fu integrata e arricchita con soluzioni più attuali e include, ad oggi, 17 articoli. Di seguito la sintesi dei punti della proposta di legge:

  • Il progetto di inclusione dovrà essere preso in carico da tutti i docenti curriculari e non solo da quelli di sostegno “attraverso una partecipazione corresponsabile alla predisposizione, all’attuazione e alla verifica del Piano Educativo Individualizzato”. Si pone l’accento anche sull’ “’obbligo di formazione iniziale ed in servizio per i dirigenti e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici ed organizzativi, dell’inclusione scolastica”. L’articolo 1 della proposta di legge prevede, come anticipato sopra, la garanzia di poter somministrare farmaci durante l’orario scolastico laddove ci sia una prescrizione sanitaria sulle modalità a cui si aggiunge anche la “individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali necessarie a realizzare l’inclusione scolastica”. Tali obiettivi e tali garanzie saranno estese anche a tutti gli alunni con Bes.
  •  Per l’inclusione sociale delle persone con disabilità è stata prevista l’istituzione di un Comitato interministeriale presso la presidenza del Consiglio dei Ministri per indirizzare l’inclusione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità. – Per gli insegnanti di sostegno sarà richiesta una preparazione specialistica attraverso una laurea per il sostegno attraverso l’istituzione di quattro diversi indirizzi per il sostegno didattico: uno per la scuola dell’infanzia, uno per la primaria, uno per la scuola secondaria di primo grado e uno per la scuola secondaria di secondo grado.
  • Nella proposta di legge è dedicato un ampio spazio al percorso formativo dei docenti di sostegno, sia iniziale che in servizio, ma anche alla formazione dei docenti curriculari. Per i docenti di sostegno sono previsti percorsi specifici, “la formazione iniziale dei docenti di scuola dell’infanzia e primaria e di scuola secondaria di primo e secondo grado deve obbligatoriamente prevedere almeno 30 crediti formativi universitari vertenti sugli aspetti della didattica per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali, come condizione necessaria per l’abilitazione all’insegnamento”. Alla stesura del Piano didattico personalizzato per gli alunni disabili e con bisogni speciali, sono inoltre tenuti a partecipare “all’inizio di ogni anno scolastico, prima dell’avvio delle lezioni, tutti i docenti delle classi cui sono iscritti alunni con bisogni educativi speciali certificati” si legge.
  •  La rivendicazione principale della Fish riguarda la continuità didattica, affrontata nell’articolo 6 della proposta di legge; è previsto per i docenti di sostegno a tempo determinato che prendono servizio in classi non terminali, un contratto biennale nella stessa sede (contratto legato però alla disponibilità della sede stessa, mentre i docenti a tempo indeterminato seguiranno gli alunni disabili per l’intero ciclo.
  •  Per quanto riguarda la certificazione della disabilità sono previste importanti novità che porteranno ad una semplificazione degli atti burocratici ad essa legati. La diagnosi funzionale ed il profilo dinamico funzionale saranno sostituiti dal Profilo di funzionamento alla cui formulazione parteciperanno anche le famiglie, un docente dell’alunno e gli operatori della Asl.
  •  Nell’articolo 8 della proposta si ribadisce la storica richiesta della Fish per la creazione “di un sistema di rilevazione dei dati che consenta in tempi reali di conoscere tra l’altro l’andamento del numero di alunni con disabilità, dei docenti per il sostegno didattico, il numero di assistenti per l’autonomia e la comunicazione, il numero di alunni nelle loro classi e quello degli stessi alunni con disabilità nelle classi”.
  •  I docenti di sostegno, il cui numero fino ad ora è stato ritenuto insufficiente, giungeranno nell’arco di un triennio a coprire i posti disponibili (con numero pari a 110.000). I posti confluiranno nell’organico di rete e tramite il Piano Annuale per l’inclusività saranno assegnati in base alle necessità.
  •  Per frenare l’aumento del numero dei ricorsi per indurre l’aumento del numero delle ore di sostegno si introdurrà l’obbligo della conciliazione, da esprimere in tempi molto brevi prima di agire in giudizio.

In una lunga intervista Marco Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli alunni disabili, ha spiegato che l’approccio che ha portato alle linee guida su cui si è basata la proposta di legge si basa sull’idea che l’azione educativa deve poter evidenziare e rafforzare tutto ciò che l’alunno con disabilità è o sarà in grado di fare in futuro e non su quello che non potrà mai fare.

 

 

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http://www.orizzontescuola.it/news/riforma-del-sostegno-ecco-come-cambier-l-inclusione-dei-disabili-nella-scuola

Ecco chi sono i docenti impreparati che distruggono la mente del bambino.

Sono sempre i più piccoli a stimolare in me la voglia di scrivere.

Le mamme mi chiedono, mi consigliano, mi ascoltano, ma la mia carta vincente è sentire i bambini e gli adolescenti. Loro sono le mie energie, la mia creatività, la mia immaginazione e la mia voglia di fare sempre meglio. È per questo che è a loro che passo la parola, che da loro traggo spunti e a loro inevitabilmente torno ogni giorno della mia settimana.

Questo articolo lo scrivo perché attraverso me possano dar voce al loro urlante silenzioso e doloroso pensiero.

Circa un anno fa, di questi tempi, scrissi indignata “Ecco come distruggiamo la mente dei nostri bambini”, considerando una brutta connivenza l’accordo tra insegnanti, genitori e medici, nel diagnosticare malattie inesistenti sulla pelle di tutti quei bambini a cui la vita ha tolto qualcosa in termini di affettività, attenzione, relazione, amicizia, comprensione, capacità d’ascolto, di rispetto dei propri tempi, delle proprie competenze, del proprio essere unici e irripetibili.

Oggi, questo articolo lo scrivo invece per rendere giustizia alla disperazione delle numerose famiglie che trovano ancora la forza di scrivermi e cercare aiuto alla loro impotenza nel dover fronteggiare docenti ignoranti, presuntuosi e privi di capacità didattiche, che, con la complicità delle istituzioni, si arrogano il diritto di fare diagnosi sui loro figli e impongono ai genitori percorsi per una valutazione psichica.

Vi sembra eccessivo quello che ho scritto? Come fanno ad imporlo? Semplice! Con il subdolo e meschino ricatto di non seguire più il bambino come fanno con gli altri alunni della classe; ignorando la famiglia; mettendo voti bassi anche quando gli studenti meritano di più; terrorizzandoli nel lavoro svolto, perché è troppo corto, troppo lungo, troppo banale, troppo facile o troppo difficile; perché non stanno fermi, non dicono la parola giusta al momento giusto, si alzano dal banco troppo spesso ecc.; terrorizzandoli con i compiti, perché se non riescono a finirli, li costringono a chiedere ai genitori di poter restare a casa il giorno successivo. Ovvero, cancellando metaforicamente l’alunno dalla classe. E non c’è niente di più subdolo e meschino di ciò che non può essere concretamente visto.

Con la menzogna “dell’aiuto”, con l’ipocrisia “del fare per”, centinaia di migliaia di bambini tutti gli anni vengono sottoposti, su richiesta del docente, a percorsi psichiatrici per la valutazione del loro potenziale cognitivo. Non leggono ancora come la maggior parte della classe? Allora signora suo figlio potrebbe essere affetto da dislessia; non ha ancora imparato le tabelline? Allora signori il vostro bambino potrebbe essere affetto da discalculia; scrive con una pessima calligrafia? Allora cari genitori potrebbe essere affetto da disgrafia; è più vivace degli altri bambini? Allora signore suo figlio potrebbe avere la sindrome da iperattività, e così via.

Ho conosciuto diversi insegnanti in questi anni di docenza in varie scuole: c’era quello stressatissimo perché era allergico agli adolescenti, in quanto quel mestiere era per lui un ripiego perché il lavoro che aveva sempre desiderato non è riuscito a raggiungerlo e poi, sapete… bisogna pur campare!; quella isterica perché il marito l’aveva lasciata; quella ipocondriaca che pretendeva che tutti i bambini ogni due ore si lavassero le mani, che non la toccassero e che su tutti i banchi ci fosse sempre un pacchetto di fazzoletti; ho incontrato quella con l’alterazione dell’umore, un momento prima rideva e scherzava e subito dopo urlava come un’isterica; quello che pretendeva che tutti gli studenti facessero lo stesso lavoro in tempi brevissimi; quello che diceva le parolacce e poi metteva le note agli studenti che facevano altrettanto; quella che non guardava mai in faccia lo studente quando gli parlava, o quella che lo chiamava per il colore dei capelli o degli occhi o per un oggetto che portava addosso, annullandolo letteralmente; quello che fumava nonostante i divieti, e quella che entrava in classe a fare l’appello e poi spariva per tutta l’ora. Poi ho conosciuto tante tante depresse e depressi: quelle che si mettevano a piangere davanti ai bambini; quelli che stavano sempre con il cellulare in mano… E poi tutti gli altri docenti: quelle/i che non sanno spiegare; non sanno capire; non sanno gioire; non sanno relazionarsi; non sanno ascoltare; non sanno ridere con i bambini; non sanno salutare per primi; non sanno vedere i loro stessi movimenti di rabbia, frustrazione e pertanto non sanno gestirli, ma li riversano sugli studenti; non sanno evitare rigorosamente l’effetto Pigmalione; non conoscono minimamente i propri scolari neppure a fine anno; non sanno risolvere le questioni difficili che si creano in classe; non sanno responsabilizzare gli alunni; non sanno lasciarli liberi di pensare; ma… badate bene, proprio loro sanno fare diagnosi medica!

Non solo, questi docenti pretendono che le loro richieste di medicalizzazione siano soddisfatte, altrimenti chiamano l’assistente sociale. E questo lo fanno perché, non essendo capaci nel proprio lavoro devono poter scaricare sul bambino o l’adolescente la loro incompetenza.

Abbiamo già più volte detto che queste presunte “patologie” non esistono; è stato più volte dimostrato che questi ragazzi e bambini debitamente aiutati pedagogicamente a recuperare una carenza causata dal mondo adulto (così come sopra descritto), posso raggiungere, anche in breve tempo, i livelli della maggioranza. Ma le istituzioni preferiscono medicalizzare anziché formare i docenti e far salire in cattedra solo i più competenti. I docenti incompetenti naturalmente, preferiscono imporsi alla famiglia e dettar legge su questioni a loro letteralmente sconosciute, fino a quando questi bambini non li avranno completamente distrutti e potranno finalmente dire: “Io ve lo avevo detto che aveva un problema!”.

Questi insegnanti ci dicono che hanno fatto corsi di aggiornamento, ossia che li hanno preparati a valutare tutte queste patologie. Naturalmente la maggior parte di questi corsi di aggiornamento sono fatti da case editrici che hanno grossissimi interessi economici nella vendita di libri compensativi per studenti e informativi per docenti. Ma nei corsi di aggiornamento agli insegnanti (questi insigni professori di psicologia o psichiatria chiamati dall’editore compiacente), hanno mai spiegato nei loro corsi quanto danno può fare un docente depresso? Quanto danno può fare un insegnante che non ascolta, o uno che è freddo e razionale, uno che sa solo etichettare, uno che denigra e ridicolizza chi è più indietro, uno che colpevolizza, uno che ha già deciso che quel bambino deve fare un percorso medico perché lui ne è convinto? Glielo hanno insegnato a questi docenti quanto danno provoca tutto ciò sulla capacità cognitiva del bambino? Glielo hanno spiegato prima di fare sentenze e diagnosi quanto pesa il suo comportamento sulla qualità della vita di un bambino? Glielo hanno detto quanto ferisce, quanto danneggia il pensiero di un bambino quando si sente escluso dall’insegnante? Glielo hanno spiegato quanto danneggia un bambino o un adolescente quando si sente diverso dagli altri bambini/adolescenti della classe? Glielo hanno insegnato quanto pesano su bambini e adolescenti le parole poco pensate (dette dal docente), e quanto incidono sull’autostima e la fiducia in se stessi? Glielo hanno detto perché, carenti di autostima e fiducia in se stessi, poi da grandi, questi bambini, dovranno frequentare corsi e libri di automotivazione per raggiungere i propri obiettivi?[1] I corsi di aggiornamento che si fregiano di insegnare ai docenti come “diagnosticare” presunte patologie, e che si avvalgono degli psicologi (che dovrebbero conoscere la psiche dei nostri studenti e che pertanto dovrebbero essere capaci di rispondere a tutte le domande che mi sono posta), hanno aggiornato i nostri docenti su tutte queste tematiche? O si sono limitati a fare gli interessi dell’editore? L’università li ha preparati i nostri docenti a tutto questo? Gli insegnanti, dal nido alla scuola secondaria di secondo grado, la conoscono tutti la pedagogia?

La maggior parte di questi bambini, una volta intrapreso il percorso medico, si rifiuta di andare dal logopedista (oramai prassi consolidata di “cura”, ma quale cura se non c’è malattia?), ma noi lo forziamo fino a farlo diventare nervoso e irascibile, perché nessuno ha capito che se non cambia il modo di relazionarsi dell’adulto, lui non potrà cambiare[2]. La maggior parte di loro ha un calo drastico del rendimento dopo aver percorso un iter diagnostico, ma continuano a dire che è il suo disturbo cognitivo che sta aumentando, quando loro sono i primi artefici di tale disturbo. La maggior parte di questi bambini e adolescenti, ha solo bisogno di una realtà affettiva che sappia comprendere e accettare i loro specifici tempi, le loro specifiche capacità cognitive e le sappia guidare pedagogicamente per un giusto e corretto sviluppo.

Poi certo, dobbiamo anche permettere a questi docenti di lavorare bene con gli studenti, e questo lo possono fare solo se le classi non sono un “pollaio”; ma anche se lo fossero, questo non li esime da un impegno specifico verso chi dimostra di averne più bisogno. Questo non li esime dall’evitare di fare diagnosi, e/o dall’attuazione di una pedagogia dinamica, o piuttosto nel chiedere alla famiglia (come si faceva un tempo), di farlo seguire da un’insegnante a casa (non una/un logopedista che non sa assolutamente nulla di pedagogia e didattica!). Perché questi bambini e ragazzi, è solo di questo che hanno bisogno, di essere seguiti un po’ più degli altri, di essere rivalutati nel rapporto, di essere capiti.

La nostra società e la nostra scuola ha bisogno solo di docenti più competenti e soprattutto più umani, dove per umano intendo capace di pensare agli studenti prima ancora che alla facilità nello svolgere il proprio lavoro; più umani significa lavorare per passione e competenze piuttosto che per ripiego o alternativa; più umani significa guardare agli altri senza il pregiudizio, il conformismo o il razzismo che spesso nasce in certi docenti ogni volta che vedono una diversità.

Dr.ssa Tiziana Cristofari

 

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http://www.figlimeravigliosi.it/2015/10/i-docenti-impreparati-che-distruggono.html