Leggi sull'autismo

Con 374 voti a favore, 11 astenuti e 75 contrari – tra cui il no del M5stelle – è stata approvata dalla Camera la legge “Dopo di noi”.

Un provvedimento atteso da anni – che ora passa al vaglio del Senato – e che risponde all’angoscioso quesito di numerose famiglie italiane: chi si occuperà di mio figlio disabile una volta che sarò morto?

Secondo le stime dell’Istat, il 25,5% degli italiani, ovvero oltre 13 milioni di individui, soffre di una disabilità, e circa 3 milioni di questi, di disabilità gravi.

 

Ashampoo_Snap_2016.02.05_10h24m39s_003_  Disabili. In arrivo la legge “Dopo di noi” Ashampoo Snap 2016

E l’urgenza di dare una risposta a tutto questo, ha spinto una cordata bipartisan Pd-Lega a presentare la proposta di legge sul “Dopo di noi”.

Il presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Mario Marazziti, ha spiegato che “con un Fondo pubblico di 90 milioni per il 2016 e i primi 150 milioni nel triennio, le Regioni e tutti i soggetti interessati potranno garantire percorsi personalizzati per i disabili gravi dopo la morte dei genitori.

Il M5S – che ha votato contro – parla di un favore alla lobby delle assicurazioni e ai privati. Affidando all’iniziativa privata un tema delicato come quello del `dopo di noi – dicono i grillini – si accresce la forbice sociale tra ricchi e poveri e per l’ennesima volta lo Stato arretra e viene messo da parte rispetto alla tutela della salute dei suoi cittadini.

Per Elena Carnevali, deputata del Pd e relatrice della legge, si tratta invece di “un grande risultato perché finalmente si risponde al desiderio dei genitori di assicurare al proprio figlio tutte le cure e l’assistenza di cui necessita dopo la loro morte.

Il valore più grande del voto di oggi è proprio nell’aver introdotto un cambio culturale e di direzione nei confronti della disabilità grave” ha aggiunto Elena Carnevali.

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http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/disabili-arrivo-legge-175544-gSLASSAbWB?refresh_ce=1

Secondo Istat, 630 mila persone con gravi disabilità vivono da sole. La legge di stabilità destina al “Dopo di noi” 90 milioni di euro. Ma sono per gravi disabilità cognitive. La deputata Pd Argentin: “Solo il 10% di queste persone, una volta rimaste senza genitori, riceve aiuto dalle istituzioni. Priorità a continuità alloggiativa, assicurazioni e trust. No a Rsa”

 

ROMA – E’ una delle grandi novità della legge di stabilità, una notizia forse “epocale” per il mondo della disabilità: per la prima volta, un fondo specifico di 90 mila euro viene destinato al Dopo di noi, al sostegno cioè di quelle persone con gravi disabilità rimaste senza genitori. Soldi che però potranno essere spesi solo una volta che la legge sul Dopo di Noi sarà stata approvata. Proviamo quindi a capire quale sia la potenziale platea dei beneficiari di questo stanziamento e cosa preveda la legge nello specifico. Lo faremo qui sotto, con l’aiuto di dati fornitici dall’Istat lo scorso anno e con di Ileana Argentin, prima firmataria della legge. E lo faremo con un focus su uno degli strumenti più innovativi previsti nella stessa legge: il trust.

La platea: 630 mila persone con gravi disabilità vivono da sole. La maggior parte (580 mila) ha dai 65 anni in su. Il prossimo anno, a questa popolazione particolarmente fragile potrebbero aggiungersi altre 2.300 persone. Entro 5 anni, invece, altre 12.600. Entro il 2019, quindi, quasi 13.000 persone in più vivranno la condizione di “dopo di noi. Sono dati rilevati dall’Istat e riferiti in Commissione Affari sociali alla Camera da Linda Sabbadini (direttrice del dipartimento per le Statistiche sociali e ambientali) esattamente un anno fa

580 mila i disabili gravi “over 65”. Circa 260 mila di questi sono attualmente “figli”, ovvero vivono con uno o entrambi i genitori. E qui c’è un dato da evidenziare: oltre metà di questi (54%) non riceve aiuti dai servizi pubblici né si affida a quelli a pagamento e non può contare sull’aiuto di familiari non conviventi: l’assistenza grava quindi completamente sui familiari conviventi. Solo il 17,6% usufruisce invece di assistenza domiciliare sanitaria o non sanitaria pubblica. Di questi “figli disabili”, circa 86 mila hanno genitori anziani e il 64% è inabile al lavoro. Circa 51 mila disabili gravi giovani e adulti vivono da soli e circa 10 mila di questi non ricevono alcun tipo di sostegno.

1,5 milioni sono le persone disabili gravi anziane, ovvero sopra i 65 anni. Il 43,5% queste (580 mila) vivono da sole, il 25,6% con il proprio partner e il 16,8% con i figli. Complessivamente, il 25% usufruisce di assistenza domiciliare pubblica, ma l’8,4% degli anziani disabili gravi riceve solo l’aiuto dei familiari conviventi.

E’ a questa “platea” di potenziali beneficiari che quindi si rivolge la legge? Lo abbiamo chiesto a Ilean Argentin, prima firmataria, che innanzitutto precisa: “La legge è destinata a chi ha una grave disabilità mentale o cognitiva, mentre per le altre disabilità ho presentato un’altra proposta di legge, quella per la vita indipendente”. Parliamo comunque, per Argentin, di “centinaia di migliaia di persone, per la maggior parte anziane”.

Quante di queste hanno bisogno di supporto?
Indicativamente, posso dire che l’80% non ha attualmente dallo stato nessuna risposta e non riceve alcun tipo di assistenza. Poi c’è un 10% a cui provvedono altri familiari (sorelle o fratelli, soprattutto) e solo un altro 10% che riceve un sostegno dalle istituzioni

Il fondo stanziato per il Dopo di noi basterà a soddisfare i bisogni di tutti?
Assolutamente no, ma è un primo passo importante: abbiamo creato un capitolo di bilancio che prima non c’era. Un fondo altro rispetto a quello per la non autosufficienza. E ricordo che ai 90 milioni del primo anno seguiranno altri stanziamenti.

Quale è lo scopo principale della legge?
Certamente la continuità abitativa, con un’attenzione prioritaria a chi non ha una casa.

Mi sta dicendo che i 90 milioni stanziati saranno utilizzati per creare nuove strutture, come alcune associazioni temono?
No, il fondo sarà impiegato in gran parte per pagare l’assistenza. Gli immobili saranno messi a disposizione per lo più dagli enti locali. E comunque non parliamo di grandi strutture, come alcuni temono, ma di comunità alloggiative di tipo familiare, per un massimo di 7-8 persone. E’ ovvio che la domiciliarità è la strada da incoraggiare, ma non è praticabile per tutti e noi dobbiamo rispondere ai bisogni di ciascuno. La scelta – ecco un altro principio fondamentale della legge – non deve essere in capo alle associazioni né alle istituzioni, ma alle stesse famiglie.

Quali sono le principali novità introdotte dalle legge?
Innanzitutto il trust, che permette la continuità alloggiativa, garantisce la libera scelta e dà alle famiglie la possibilità di organizzarsi “durante di noi”. Poi le assicurazioni, che permetteranno a ciascuna famiglia di stabilire il percorso di vita dl figlio, secondo un calendario dei bisogni, anticipando in un certo senso le spese per sostenere le sue attività. E parliamo di strumenti – tanto i trust quanto le assicurazioni – che saranno defiscalizzati e riceveranno incentivi. Una parte del fondo quindi sarà indirizzata anche a questo. L’obiettivo di fondo, lo ripeto, è rendere protagonista la famiglia, sostenendo le diverse scelte di ciascuna.

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http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Politiche_e_Buoni_Esempi/News/info1797666682.html

E’ una delle principali novità introdotto dalle legge sul Dopo di noi: in Italia esiste dal 1992 e conosce diverse applicazioni anche in ambito sociale. Ai genitori con figli disabili, consente di vincolare un bene e un “progetto di vita”, impegnando il “trustee” a realizzarlo quando loro non ci saranno più

 

ROMA – Si chiama “trust”, in Italia già esiste da tempo, ma ora potrebbe diffondersi molto di più, soprattutto tra le persone disabili e in funzione di quel Dopo di noi a cui Renzi ha dedicato uno stanziamento specifico in legge di stabilità (90 milioni) e di cui si occupa una legge già vagliata alla Camera e in attesa di passare al Senato. Una legge che è il frutto di cinque proposte, unificate e integrate da Ileana Argentin, prima firmataria del testo unificato. Tra le novità principali, c’è una cosa che si chiama “trust“: a incoraggiarne l’inclusione nel testo normativo è stata Francesca Romana Lupoi, avvocato dell’associazione Trust in Italia. “Nessuna delle cinque proposte includeva il trust – ci spiega- che pure già esisteva in Italia dal 1992, in virtù di una convenzione di diritto internazionale. In alcune di queste proposte si parlava invece di ‘fondo di sostegno’, che però non aveva alcuna base giuridica. Per questo, ho proposto di sostituire questa espressione con ‘trust’, ormai ampiamente riconosciuto e praticato dai giudici tutelari. E i legislatori mi hanno seguito”.

Ma in cosa consiste il trust? “E’ una sorta di patrimonio segregato, separato rispetto a quello personale del soggetto che lo gestisce: nel fondo in trust, si va a mettere una somma, un bene mobile o immobile, secondo modalità molto flessibili (per esempio, anche con versamenti periodici, ndr): e questo viene ‘consacrato’, destinato esclusivamente alla finalità prevista. E nessuno può toccarlo, se non il beneficiario”. Il trus, insomma, ha bisogno di tre soggetti: un “disponete”, ovvero il proprietario del bene; il beneficiario; e il “trustee”, ovvero colui che è chiamato a gestire quel bene, secondo le modalità e le volontà indicate dal disponente.

Questo strumento giuridico e finanziario è molto utilizzato in ambito sociale, “anche in caso di donazioni – spiega Lupoi – In questi casi, spesso il disponente è una persona anziana che vuole sostenere una determinata realtà ma non ha le capacità o la possibilità o l’intenzione di occuparsene in prima persona, quindi nomina un trustee”. Anche nell’ambito della disabilità, questo strumento inizia ad essere sempre più conosciuto e utilizzato: “Qui il turaste non è generalmente remunerato, come accade negli altri casi, ma quasi sempre è un membro della famiglia o della rete amicale. Il disponente è di solito il genitore, il beneficiario naturalmente è il figlio disabile. Il bene può essere una somma di denaro, o un immobile, anche lo stesso in cui la famiglia vive attualmente: in questo caso, i genitori possono riservarsene una parte come nuda proprietà. Ma la cosa importante, soprattutto quando parliamo di trust per il Dopo di noi, è che questo è un vero e proprio programma di vita e qui sta la sua forza“. In che senso? “Nell’atto, viene indicato con precisione come la famiglia vuole che sia utilizzato quel bene. Si allegano le cosiddette ‘lettere dei desideri‘, in cui i genitori declinano un vero e proprio progetto per il figlio. In questo modo, sotto questo profilo la loro morte sarà irrilevante, perché il trustee garantirà l’esecuzione di quel progetto e il figlio sarà completamente tutelato”. Il trustee, in definitiva, consiste in un bene vincolato, con un corollario ben preciso di regole e indicazioni a cui il trustee dovrà attenersi: in questo modo, desideri e progetti diventano legge. “Per questo, l’atto di trust è su misura, entra nel cuore dei genitori e nelle abitudini del ragazzo. Il trustee si impegna a realizzare nel miglior modo possibile le volontà dei disponenti. Ed eventuali violazioni saranno perseguibili davanti al giudice”, precisa Lupoi.

Un esempio? Una coppia ha un figlio disabile ormai adulto e una grande casa di proprietà – racconta Lupoi, riferendo di un caso seguito tempo fa – I genitori hanno diviso l’appartamento in due parti, riservandosene una per usufrutto. Nell’altra ala dell’appartamento, il ragazzo ora vive insieme ad altri cinque ragazzi con disabilità, costantemente assistiti dagli operatori di una cooperativa. In questo modo, il Dopo di noi si sta realizzando anche prima. E la famiglia, dopo diversi anni di sperimentazione, si dice molto soddisfatta”.

Ora, con l’inserimento del trust nella legge per il Dopo di noi, questa pratica dovrebbe diffondersi ancora di più in questo ambito: “è infatti prevista la defiscalizzazione, in modo che non siano più dovute imposte ipotecarie e catastali, che ammontano a circa i 3%. Un ulteriore incoraggiamento alle famiglie, affinché utilizzino questo strumento, utile soprattutto nel sostenere quella domiciliarità che da più parti è richiesta”

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http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Politiche_e_Buoni_Esempi/News/info1797668934.html

Rivoluzione ICF: in arrivo le linee guida per l’inclusione, mentre va avanti la sperimentazione sui BES. Piemonte finora unica regione che rilascia le nuove certificazioni. Formazione dei docenti curricolari: molto bene in particolare la Puglia. Quasi al via i corsi di specializzazione per il sostegno, con 300 ore di tirocinio. A breve online un portale per reperire materiali didattici ed esperienze.

L’integrazione degli alunni con disabilità è uno dei pochi fiori all’occhiello del sistema d’istruzione italiano. Si stenta a crederlo se non si ha familiarità con la materia, ma a tutt’oggi in paesi come la Francia o la Gran Bretagna o la Germania l’inclusione dei portatori di handicap inizia a compiere solo i primi passi ed è ben lungi dal diventare quella che da noi è prassi quotidiana da più di trent’anni. Dopo i fondamentali traguardi degli anni ’70 (risalgono a quel decennio leggi come la 517/77, che finalmente sancisce il diritto alla frequenza scolastica), dopo la legge n.279/82 che istituisce la figura del docente di sostegno (sostegno alla classe, e non al disabile) e la fondamentale legge-quadro 104 del 1992 (per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sta andando in scena proprio in questi mesi un’altra rivoluzione nella progettazione dell’inclusione a scuola, quella che si sintetizza in due acronimi, ICF (International Classification of Functioning) e BES (Bisogni educativi speciali). L’approccio pedagogico che ci ha portati fino a qui è basato sull’idea che nell’azione educativa si deve partire da quello che la persona è o sarà in grado di fare, non da ciò che non potrà mai fare, come ci ha spiegato Marco Rossi-Doria, Sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli studenti disabili.

Ci può illustrare a che punto sono i lavori per la nuova classificazione delle disabilità? Quali saranno i tempi? Sappiamo, infatti, che il tradizionale sistema a tre caselle (deficit di vista, udito e psico-fisici) ingloba solo il 93, 94 per cento dei casi effettivamente censiti a scuola…

“La classificazione delle disabilità, anche se ha riflessi importanti sui processi di inclusione scolastica ed in particolare sulle procedure di assegnazione del sostegno, rientra nelle competenze del Ministero della Sanità. Il Miur sta seguendo una sperimentazione, a livello nazionale, per introdurre nella scuola italiana il modello ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa si basa sulla funzionalità della persona, un approccio decisivo ai fini dell’integrazione.

Il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” ha visto la partecipazione di circa 600 scuole ed una sperimentazione di durata annuale su 93 istituzioni scolastiche, finanziato con 1,7 mln di euro. Stiamo ora lavorando all’elaborazione delle relative Linee guida.

Già dal 2008 è stata sottoscritta un’Intesa, in Conferenza Unificata, per l’adozione del modello ICF di certificazione su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, solo il Piemonte – dopo due anni di sperimentazione – rilascia certificazioni in ICF. Stiamo quindi pensando di realizzare un accordo con la Regione Piemonte per estendere questa pratica anche ad altre Regioni”.

Quali saranno gli effetti positivi immediati per le famiglie e per le scuole?

“L’approccio del “funzionamento” inciderà su due diversi piani: la persona e il contesto. Rispetto al piano della persona, il punto di forza dell’ICF è che consente al piano didattico di superare un approccio basato sulle “menomazioni”, cioè su quello che la persona non può fare, per passare all’approccio, appunto, del “funzionamento”, basato sulle potenzialità e sulle capacità, su quello che la persona può fare e progressivamente imparare a fare. Rispetto invece al contesto, i suoi concetti cardine sono quelli di “barriere” da azzerare e “facilitatori” da potenziare. Il contesto è determinante per realizzare le migliori condizioni atte a favorire il successo formativo ed il benessere della persona. Quindi le scuole potranno meglio costruire un piano didattico in grado di sostenere gli apprendimenti e valorizzare le capacità di ciascuno. E le famiglie potranno sentirsi maggiormente sostenute”.

Abbiamo sentito parlare di corsi di formazione online, solo per i docenti di sostegno o anche per i docenti curricolari? Si tratterà solo di formazione a distanza?

“Il MIUR sta puntando molto sulla formazione dei docenti riguardo alle disabilità, sia attraverso la formazione in servizio che con percorsi rigorosi di formazione iniziale. C’è molta formazione in presenza, ma utilizzeremo anche quella a distanza.

Nell’ambito della formazione in servizio, ci stiamo rivolgendo non solo ai docenti di sostegno ma a tutti i docenti curricolari, sia nella scuola primaria che nella secondaria. Sono stati organizzati dagli Uffici Scolastici Regionali diversi corsi a livello territoriale. In particolare la Puglia ha coinvolto 4mila docenti in un corso di 50 ore, di cui 10 in presenza. Metteremo questa esperienza a disposizione delle altre zone d’Italia, perché ha avuto molto successo.

È stato inoltre predisposto un piano nazionale di formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nell’ambito del quale sono stati organizzati 35 master universitari grazie ad un accordo tra il MIUR e le Università presso le quali è attivo un Corso di laurea in Scienze della Formazione. I master sono stati finanziati dal Ministero – ai docenti veniva richiesto un contributo simbolico di iscrizione, dagli 80 ai 150 euro – e hanno avuto un grande successo: a fronte di 3500 posti disponibili si sono registrate oltre 12000 domande. Abbiamo quindi deciso di finanziarne una seconda edizione.

Abbiamo poi predisposto un piano di ulteriori 40 corsi di perfezionamento e master, per una platea di docenti, formati o in formazione, superiore alle 11.000 unità, su tematiche specifiche (autismo, sindrome ADHD, ritardo maturativo e mentale, rieducazione psicomotoria, disabilità sensoriali) . Queste attività partiranno già dal corrente anno accademico.

A sostegno di queste iniziative formative sarà a breve on line un portale con un’area dedicata, articolata in diverse sezioni: una comunità di pratica destinata agli insegnanti; una raccolta delle esperienze delle scuole; una rassegna degli interventi di formazione promossi dagli Uffici Scolastici Regionali; una sezione dedicata alle Università, dove saranno pubblicati materiali didattici”.

Come avverrà il reclutamento dei futuri insegnanti di sostegno? TFA per il sostegno? Dopo quello che è successo col corso ordinario, si ha paura anche solo a nominarlo il TFA…

“Nell’ambito della formazione iniziale è stato istituito il Corso di specializzazione per il sostegno, di durata annuale (60 CFU pari a 1500 ore di impegno didattico), con circa 300 ore di tirocinio. Oggi quindi per il sostegno non è previsto un TFA ma questi corsi, che partiranno nel corrente anno accademico. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti curricolari, nei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale di scienze della formazione, abilitanti all’insegnamento per le scuole dell’infanzia e primarie (partiti nel 2011), sono previsti 30 CFU (pari ad un semestre accademico) dedicati alle tematiche dell’inclusione. Stiamo puntando a percorsi rigorosi per la preparazione di tutti gli insegnanti sui temi della disabilità e dei BES e a un percorso specifico, naturalmente, per chi sceglie di specializzarsi nel sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Anche in presenza di insegnanti di sostegno, le scuole si trovano spesso in difficoltà di fronte a sindromi come quella da iperattività (ADHD) o autismo, in cui il disagio è soprattutto relazionale ancor più che didattico. Sono allo studio azioni specifiche per fronteggiare queste due emergenze? Sarebbe sbagliato pensare di coinvolgere personale fornito di competenze specifiche (per esempio gli psicologi, non solo nel ruolo di supervisori, ma anche in quello di operatori), al di fuori del canale disciplinare? Forse con un canale di accesso per competenze e non solo per titoli?

“Come ho detto in precedenza stiamo attivando 40 corsi di perfezionamento e master su questioni specifiche come l’autismo e la sindrome ADHD. Ma ci tengo a sottolineare che la presa in carico di alunni e studenti è e deve essere anzitutto operata dal personale della scuola. Sono gli insegnanti – tutti, non soltanto il personale di sostegno – che hanno la responsabilità di individuare percorsi educativi per consentire ad ogni studente di imparare le cose indispensabili ed ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppando abilità e competenze utili per la vita. E’ quindi in primis nella scuola che vanno sviluppate le competenze professionali per seguire questi ragazzi. L’apporto di professionalità esterne alla scuola può comunque svolgere un ruolo importante di supporto verso i ragazzi e le famiglie, per creare una continuità dell’intervento tra tempo a scuola e tempo extrascolastico e intervenire su singoli aspetti (psicologico, motorio, ecc) con maggiore efficacia. Per questo esistono una serie di strumenti, tra i quali gli Accordi di programma, che consentono alle scuole di operare in sinergia con Enti locali ed altri organismi, nell’ambito di procedure ben definite. Sappiamo di moltissime realtà dove la collaborazione tra istituzioni consente l’attivazione di percorsi che vedono lavorare insieme il mondo della scuola, quello della sanità e quello del privato sociale. La creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto va proprio in questa direzione, cioè di una rete di scuole polo per l’inclusione che sappia cooperare con tutti gli attori preposti alla realizzazione degli obiettivi di inclusione scolastica e sociale, con il coinvolgimento di specialisti ed esperti. La rete dei CTS, di livello provinciale (sono 105 in tutta Italia), sta per essere integrata con la rete dei CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, scuole polo situate nei distretti socio-sanitari. La rete delle scuole per l’inclusione è già operante in molte regioni (Veneto, 51 scuole; Lombardia, 68; Marche, 31; ecc.) e stiamo lavorando per estenderlo a ogni regione. I CTS forniscono anche ausili in comodato d’uso”.

Come evitare che il posto di sostegno continui a essere anche in futuro una più facile passerella per accedere al ruolo?

“Attraverso percorsi rigorosi di studio teorico, tirocini e specializzazioni, come quelli che abbiamo attivato e che in futuro dovranno essere l’unica via per accedere al sostegno. Ci vorrà qualche anno perché un sistema di formazione e reclutamento uguale per tutti entri a regime, ma questa è la strada da perseguire. Nel frattempo dobbiamo perseguire l’obiettivo della continuità didattica del personale di sostegno, così importante per il successo formativo. Il provvedimento per rendere stabili i 27.000 docenti di sostegno, facendoli accedere all’organico di diritto, che è contenuto nel Decreto Scuola in via di conversione in questi giorni, è un primo importante passo in questa direzione. Vorrei anche aggiungere che la migliore soluzione all’idea del sostegno come “ripiego” o “scorciatoia” – sempre che così si possa chiamare in certi casi – è promuovere nelle scuole la vera cultura dell’inclusione, che responsabilizza tutti e non soltanto il personale di sostegno. Ferma restando l’importanza decisiva delle competenze dei docenti di sostegno, alcune competenze sulle disabilità devono essere patrimonio di ogni insegnante ed è la comunità scolastica nel suo complesso che deve attuare una presa in carico educativa efficace nei confronti di ciascun bambino o ragazzo. Questo è l’approccio, proposto a scuole e docenti, che abbiamo indicato con la direttiva sui bisogni educativi speciali, che adesso stiamo attuando con diverse misure di accompagnamento per rendere quest’anno scolastico un anno di sperimentazione. Dunque, progressiva e costante crescita delle competenze specifiche degli insegnanti di sostegno e di quelle di tutti. E’ un approccio che consentirà alle scuole di inverare l’inclusione scolastica così come è stata pensata da una delle leggi più avanzate al mondo, quella del 1977. Dobbiamo tutti esserne consapevoli: daremo forza e continuità al nostro modello se saremo costanti nel tempo, se sapremo sostenerlo con le risorse adeguate e con la continuità nella formazione. C’è – certo – bisogno di manutenzione e impegno a tutti i livelli per garantire e difendere un approccio culturale e pedagogico, fondato sui diritti delle persone, che è un grande segno di civiltà del nostro Paese, riconosciuto nel mondo e, che proprio per il suo valore va via via migliorato lì dove è necessario”.

Oltre alle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno, nel Decreto scuola si parla di un cambiamento delle procedure di accertamento dell’handicap, attraverso l’inserimento nella commissione medica di un dirigente o di un docente. Quali saranno gli effetti di questa modifica?

“Il Decreto Scuola è proprio adesso al vaglio del Parlamento e quindi saranno le discussioni in quella sede a stabilire eventuali modifiche. Il fatto che tutta la VII Commissione della Camera – in ogni parte politica – abbia mostrato grande attenzione a questi temi è un segnale istituzionale e politico davvero importante e promettente. Rispetto alla questione delle certificazioni, esiste l’apposito tavolo paritetico tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute, che ha il compito, appunto, di monitorare la situazione e proporre interventi. E, come MIUR, intendiamo continuare nel lavoro teso a migliorare i processi di rilevazione delle risorse professionali in ogni scuola e territorio e degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali, nel rigoroso rispetto della privacy, su base funzionale e nella prospettiva dell’integrazione di ciascuno”

Campania. Sinpia: “Priva di fondamento scientifico decisione Regione di indicare unico metodo per intervenire in casi di autismo”

Aspre critiche da parte della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dopo la pubblicazione della legge di
stabilità regionale 2016. Un’indicazione legislativa che non sembra tenere conto della complessità e dell’eterogeneità che caratterizzano i
disturbi dello spettro autistico e delle evidenze scientifiche che dimostrano l’efficacia di altri approcci mediati dai genitori”.

FONTE

http://www.quotidianosanita.it/campania/articolo.php?articolo_id=35800

Le domande sono

1. come mai solo ABA?

2. esiste un iter legislativo che consente di stabilire chi può far aba?

3. quali sono gli istituti certificati per la formazione aba?

4. esiste in Campania un albo riconosciuto secondo in preciso iter formativo per terapisti o consulenti ABA?

5. chi pagherà aba per i bambini autistici, visto che è un metodo intensivo, la regione Campania?

6. gli altri metodi saranno dichiarati fuorilegge? Non si potranno effettuare progetti finanziati per l’autismo con altre metodologie?

7. il genitore può scegliere di concerto con medici e suoi terapisti di fiducia la metodologia o l’insieme di tecniche più idonee per il
figlio?

8. tutto sarà sempre a carico delle familgie?

NB. tali domande ovviamente devono aver risposta anche per altre metodologie in modo da permettere ad un genitore di avere sempre la certezza di affidare il proprio figlio ad un professionista certificato

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206. La Regione Campania, nel rispetto dei principi della Costituzione, della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea e della legge 3 marzo 2009, n.18 (Ratifica ed esecuzione della
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale,
fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione
delle persone con disabilità), in osservanza al principio dell’universalità del diritto di accesso e di
uguaglianza di trattamento sull’intero territorio regionale in considerazione della specificità dei
bisogni della persona in situazione di disagio e di fragilità, promuove condizioni di benessere e di
inclusione sociale delle persone minori, adolescenti e adulte affette dai disturbi dello spettro
autistico, garantendo l’esercizio del diritto alla salute e la fruizione delle prestazioni sanitarie,
sociosanitarie e sociali di cui alla legislazione vigente.

FONTE

https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwiD6b_GxtHKAhWFWRoKHZiYBh4QFgggMAA&url=http%3A%2F
%2Fburc.regione.campania.it%2FeBurcWeb%2FdirectServlet%3FDOCUMENT_ID%3D68836%26ATTACH_ID
%3D96221&usg=AFQjCNHSEd7_lMhPyHc_TO5I43KW7Utn1w&sig2=neqEabeVGzrDQHamZRdAKQ

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6. Al comma 206, dell’articolo 1 della legge regionale 16/2014, dopo le parole “sociosanitarie e
sociali di cui alla legislazione vigente” sono inserite le seguenti: “e l’adozione di un percorso
diagnostico terapeutico personalizzato (PDTA) che prevede:
a) precocità della diagnosi e della riabilitazione;
b) la presa in carico congiunta del paziente con diagnosi di spettro dell’autismo attraverso il
coordinamento dei servizi Cure domiciliari, Sociosanitari e Materno infantile;
c) adozione del metodo Analisi Comportamentale Applicata (ABA) come metodologia a cui
ispirare tutti gli interventi, nel rispetto delle linee guida di neuropsichiatria infantile.
FONTE
legge di stabilità regionale 2016 per la Regione Campania. All’articolo 8, comma 6

http://www.aiopcampania.it/public/normativa/L.%20R.%20N.%201%20del%2018.01.2016%20Legge%20di%20Stabilita%20Regionale%202016.pdf

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allegati

LEGGE_16_COMPLETA_SEGN_LEGGI_REGIONALI

LEGGE14COMPLETA_LEGGI_REGIONALI

SINPIAautismo

Il 3 Settembre sono state pubblicate le linee guida per la scuola: nel sostegno al centro sono l’inclusione e la continuità didattica

Nei giorni scorsi è stata annunciata una nuova riforma della scuola, cioè un progetto di innovazione significativo di cui stanno emergendo i dettagli nelle linee guida appena pubblicate.

Numerosi sono i contenuti prospettati, tra cui un grande piano di assunzioni, un nuovo concorso a cattedra ed il progetto di premialità retributiva legata al merito.

Si tratterebbe di un rinnovamento generale di diversi aspetti del sistema scolastico, che riguarderebbe anche l’insegnamento agli alunni con disabilità, come anticipato da un’importante risoluzione approvata in Commissione Istruzione, di cui ci eravamo occupati qualche settimana fa. In essa era stata indicata la volontà politica di garantire continuità didattica agli alunni disabili per tutto il ciclo scolastico, che consentirebbe di superare i disagi educativi derivanti dal precariato e di costruire progetti educativi a lungo termine.

Davide Faraone, responsabile scuola del governo in carica, in una recente intervista aveva confermato che tra le novità che saranno comprese nella riforma della scuola c’è anche quella del sostegno, che non è una cortesia ma un diritto, non porta per accedere ad insegnamento. Quella del sostegno, ha affermato Faraone, è una delle gambe essenziali della riforma.

 

Non mancano però le perplessità: il testo dell’ambizioso progetto dedica la pagina 78 alle politiche previste per l’inclusione, da cui emerge un dato che abbiamo più volte sottolineato, cioè la carenza dei docenti specializzati per le attività di sostegno. Nello specifico, viene richiamato il piano triennale di stabilizzazione, giunto alla sua seconda tranche, che ha visto fino ad ora l’assunzione di quasi 18 mila insegnanti specializzati e che si concluderà il prossimo anno con l’immissione in ruolo di altri 8 mila docenti. Circa 26 mila insegnanti, dunque, potranno garantire continuità didattica agli alunni.

Non basta. Infatti, nonostante questa significativa azione politica centrata sulla tutela dei diritti degli alunni con disabilità, circa 21 mila cattedre continueranno ad essere annuali e, pertanto, ad almeno 42 mila alunni con certificazione non potrà essere garantita la continuità didattica. Non solo: i docenti specializzati presenti attualmente nelle graduatorie ad esaurimento sono solo 14 mila, cui si aggiungono gli insegnanti presenti nelle graduatorie di merito dei concorsi. In molti casi, però, si tratta delle stesse persone, che hanno superato le prove per accedere ad entrambi i percorsi utili per l’immissione in ruolo. Il numero dei docenti specializzati, cioè, continua ad essere inferiore al fabbisogno e, in diversi casi, come abbiamo già evidenziato, non sarà sufficiente nemmeno a coprire le assunzioni previste per l’anno prossimo.

 

Altri insegnati, pur in possesso di abilitazione e di recente specializzazione, non potranno essere assunti finché non saranno in possesso di idoneità concorsuale.

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http://www.disabili.com/scuola-a-istruzione/articoli-scuola-istruzione/linee-guida-la-buona-scuola-cosa-prevedono-per-il-sostegno

Il 1° Agosto la Commissione Istruzione ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna il governo garantire continuità didattica nel sostegno

Abbiamo affrontato più volte il problema del diffuso precariatodei docenti di sostegno, che impedisce di fatto la possibilità di garantire continuità didattica alle classi a cui sono assegnati. Ogni anno, infatti, purtroppo ormai con regolarità, registriamo il loro alternarsi nell’assegnazione delle cattedre annuali, che dipendono da un sistema di punteggi nelle graduatorie e di posti disponibili al momento delle nomine.

Ciò non solo inibisce la possibilità di maturare competenze legate di bisogni dei contesti delle classi ma, soprattutto, quella di garantire continuità didattica agli alunni. Docenti e discenti affrontano dunque ogni anno quella che chi scrive ha di recente definito una inutile e frustante fatica di Sisifo.

Proprio nella pausa estiva, però, dal Parlamento sembrano arrivare buone notizie. Nei giorni scorsi, infatti, la Commissione Istruzione al Senato ha approvato all’unanimitàuna risoluzione che impegna il governo a risolvere il problema, a garantire continuità didattica per tutto il ciclo scolastico. Ciò è concretizzabile azzerando la discrepanza numerica tra quello che viene definito organico di diritto e quello che viene invece chiamato organico di fatto. Si tratta di termini tecnici per distinguere tra il numero dei docenti assunti o da assumere e quello invece reale, cui confluisco anche tutte le assegnazioni temporanee. Tale discrepanza numerica, purtroppo, negli ultimi anni è diventata sempre più ampia, fino a riguardare, in alcuni casi, anche la metà dei docenti.

A questo si era cercato di porre rimedio già lo scorso anno, giungendo all’impegno formale con un piano di assunzione triennale, in gran parte ancora da realizzare. La seconda tranche di assunzioni è prevista proprio nelle prossime settimane, prima dell’avvio dell’anno scolastico e riguarderà circa 13 mila insegnanti di sostegno.

Tra le indicazioni previste dalla risoluzione, però, c’è anche un’importante novità e cioè un incremento del numero dei docenti di sostegno nell’organico di diritto, attualmente fissato in 90 mila posti. Infatti, per giungere al rapporto medio di 2 alunni per ogni docente di sostegno, l’organico di diritto dovrebbe essere di 110 mila posti. Giungere a questa cifra consentirebbe di abbassare drasticamente la discrepanza numerica tra organico di diritto e organico di fatto. Si tratta di un impegno importante da parte della Commissione Istruzione. La risoluzione, infatti, è un atto di indirizzo politico che evidenzia una volontà risolutiva da parte del Parlamento.

Rispetto al prossimo anno scolastico, intanto, come già riportato, è prevista la stabilizzazione immediata di circa 13 mila docenti di sostegno, che potranno garantire continuità didattica agli alunni. Seguiremo con attenzione le diverse fasi attuative e la suddivisione dei posti nei diversi ordini.

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http://www.disabili.com/scuola-a-istruzione/articoli-scuola-istruzione/sostegno-e-continuita-didattica-approvata-importante-risoluzione-in-commissione-istruzione

Rivoluzione ICF: in arrivo le linee guida per l’inclusione, mentre va avanti la sperimentazione sui BES. Piemonte finora unica regione che rilascia le nuove certificazioni. Formazione dei docenti curricolari: molto bene in particolare la Puglia. Quasi al via i corsi di specializzazione per il sostegno, con 300 ore di tirocinio. A breve online un portale per reperire materiali didattici ed esperienze.

L’integrazione degli alunni con disabilità è uno dei pochi fiori all’occhiello del sistema d’istruzione italiano. Si stenta a crederlo se non si ha familiarità con la materia, ma a tutt’oggi in paesi come la Francia o la Gran Bretagna o la Germania l’inclusione dei portatori di handicap inizia a compiere solo i primi passi ed è ben lungi dal diventare quella che da noi è prassi quotidiana da più di trent’anni. Dopo i fondamentali traguardi degli anni ’70 (risalgono a quel decennio leggi come la 517/77, che finalmente sancisce il diritto alla frequenza scolastica), dopo la legge n.279/82 che istituisce la figura del docente di sostegno (sostegno alla classe, e non al disabile) e la fondamentale legge-quadro 104 del 1992 (per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sta andando in scena proprio in questi mesi un’altra rivoluzione nella progettazione dell’inclusione a scuola, quella che si sintetizza in due acronimi, ICF (International Classification of Functioning) e BES (Bisogni educativi speciali). L’approccio pedagogico che ci ha portati fino a qui è basato sull’idea che nell’azione educativa si deve partire da quello che la persona è o sarà in grado di fare, non da ciò che non potrà mai fare, come ci ha spiegato Marco Rossi-Doria, Sottosegretario all’Istruzione con delega ai servizi per l’integrazione degli studenti disabili.

Ci può illustrare a che punto sono i lavori per la nuova classificazione delle disabilità? Quali saranno i tempi? Sappiamo, infatti, che il tradizionale sistema a tre caselle (deficit di vista, udito e psico-fisici) ingloba solo il 93, 94 per cento dei casi effettivamente censiti a scuola…

“La classificazione delle disabilità, anche se ha riflessi importanti sui processi di inclusione scolastica ed in particolare sulle procedure di assegnazione del sostegno, rientra nelle competenze del Ministero della Sanità. Il Miur sta seguendo una sperimentazione, a livello nazionale, per introdurre nella scuola italiana il modello ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa si basa sulla funzionalità della persona, un approccio decisivo ai fini dell’integrazione.

Il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” ha visto la partecipazione di circa 600 scuole ed una sperimentazione di durata annuale su 93 istituzioni scolastiche, finanziato con 1,7 mln di euro. Stiamo ora lavorando all’elaborazione delle relative Linee guida.

Già dal 2008 è stata sottoscritta un’Intesa, in Conferenza Unificata, per l’adozione del modello ICF di certificazione su tutto il territorio nazionale. Ad oggi, solo il Piemonte – dopo due anni di sperimentazione – rilascia certificazioni in ICF. Stiamo quindi pensando di realizzare un accordo con la Regione Piemonte per estendere questa pratica anche ad altre Regioni”.

Quali saranno gli effetti positivi immediati per le famiglie e per le scuole?

“L’approccio del “funzionamento” inciderà su due diversi piani: la persona e il contesto. Rispetto al piano della persona, il punto di forza dell’ICF è che consente al piano didattico di superare un approccio basato sulle “menomazioni”, cioè su quello che la persona non può fare, per passare all’approccio, appunto, del “funzionamento”, basato sulle potenzialità e sulle capacità, su quello che la persona può fare e progressivamente imparare a fare. Rispetto invece al contesto, i suoi concetti cardine sono quelli di “barriere” da azzerare e “facilitatori” da potenziare. Il contesto è determinante per realizzare le migliori condizioni atte a favorire il successo formativo ed il benessere della persona. Quindi le scuole potranno meglio costruire un piano didattico in grado di sostenere gli apprendimenti e valorizzare le capacità di ciascuno. E le famiglie potranno sentirsi maggiormente sostenute”.

Abbiamo sentito parlare di corsi di formazione online, solo per i docenti di sostegno o anche per i docenti curricolari? Si tratterà solo di formazione a distanza?

“Il MIUR sta puntando molto sulla formazione dei docenti riguardo alle disabilità, sia attraverso la formazione in servizio che con percorsi rigorosi di formazione iniziale. C’è molta formazione in presenza, ma utilizzeremo anche quella a distanza.

Nell’ambito della formazione in servizio, ci stiamo rivolgendo non solo ai docenti di sostegno ma a tutti i docenti curricolari, sia nella scuola primaria che nella secondaria. Sono stati organizzati dagli Uffici Scolastici Regionali diversi corsi a livello territoriale. In particolare la Puglia ha coinvolto 4mila docenti in un corso di 50 ore, di cui 10 in presenza. Metteremo questa esperienza a disposizione delle altre zone d’Italia, perché ha avuto molto successo.

È stato inoltre predisposto un piano nazionale di formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, nell’ambito del quale sono stati organizzati 35 master universitari grazie ad un accordo tra il MIUR e le Università presso le quali è attivo un Corso di laurea in Scienze della Formazione. I master sono stati finanziati dal Ministero – ai docenti veniva richiesto un contributo simbolico di iscrizione, dagli 80 ai 150 euro – e hanno avuto un grande successo: a fronte di 3500 posti disponibili si sono registrate oltre 12000 domande. Abbiamo quindi deciso di finanziarne una seconda edizione.

Abbiamo poi predisposto un piano di ulteriori 40 corsi di perfezionamento e master, per una platea di docenti, formati o in formazione, superiore alle 11.000 unità, su tematiche specifiche (autismo, sindrome ADHD, ritardo maturativo e mentale, rieducazione psicomotoria, disabilità sensoriali) . Queste attività partiranno già dal corrente anno accademico.

A sostegno di queste iniziative formative sarà a breve on line un portale con un’area dedicata, articolata in diverse sezioni: una comunità di pratica destinata agli insegnanti; una raccolta delle esperienze delle scuole; una rassegna degli interventi di formazione promossi dagli Uffici Scolastici Regionali; una sezione dedicata alle Università, dove saranno pubblicati materiali didattici”.

Come avverrà il reclutamento dei futuri insegnanti di sostegno? TFA per il sostegno? Dopo quello che è successo col corso ordinario, si ha paura anche solo a nominarlo il TFA…

“Nell’ambito della formazione iniziale è stato istituito il Corso di specializzazione per il sostegno, di durata annuale (60 CFU pari a 1500 ore di impegno didattico), con circa 300 ore di tirocinio. Oggi quindi per il sostegno non è previsto un TFA ma questi corsi, che partiranno nel corrente anno accademico. Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti curricolari, nei nuovi corsi a ciclo unico quinquennale di scienze della formazione, abilitanti all’insegnamento per le scuole dell’infanzia e primarie (partiti nel 2011), sono previsti 30 CFU (pari ad un semestre accademico) dedicati alle tematiche dell’inclusione. Stiamo puntando a percorsi rigorosi per la preparazione di tutti gli insegnanti sui temi della disabilità e dei BES e a un percorso specifico, naturalmente, per chi sceglie di specializzarsi nel sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Anche in presenza di insegnanti di sostegno, le scuole si trovano spesso in difficoltà di fronte a sindromi come quella da iperattività (ADHD) o autismo, in cui il disagio è soprattutto relazionale ancor più che didattico. Sono allo studio azioni specifiche per fronteggiare queste due emergenze? Sarebbe sbagliato pensare di coinvolgere personale fornito di competenze specifiche (per esempio gli psicologi, non solo nel ruolo di supervisori, ma anche in quello di operatori), al di fuori del canale disciplinare? Forse con un canale di accesso per competenze e non solo per titoli?

“Come ho detto in precedenza stiamo attivando 40 corsi di perfezionamento e master su questioni specifiche come l’autismo e la sindrome ADHD. Ma ci tengo a sottolineare che la presa in carico di alunni e studenti è e deve essere anzitutto operata dal personale della scuola. Sono gli insegnanti – tutti, non soltanto il personale di sostegno – che hanno la responsabilità di individuare percorsi educativi per consentire ad ogni studente di imparare le cose indispensabili ed ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppando abilità e competenze utili per la vita. E’ quindi in primis nella scuola che vanno sviluppate le competenze professionali per seguire questi ragazzi. L’apporto di professionalità esterne alla scuola può comunque svolgere un ruolo importante di supporto verso i ragazzi e le famiglie, per creare una continuità dell’intervento tra tempo a scuola e tempo extrascolastico e intervenire su singoli aspetti (psicologico, motorio, ecc) con maggiore efficacia. Per questo esistono una serie di strumenti, tra i quali gli Accordi di programma, che consentono alle scuole di operare in sinergia con Enti locali ed altri organismi, nell’ambito di procedure ben definite. Sappiamo di moltissime realtà dove la collaborazione tra istituzioni consente l’attivazione di percorsi che vedono lavorare insieme il mondo della scuola, quello della sanità e quello del privato sociale. La creazione dei CTS-Centri Territoriali di Supporto va proprio in questa direzione, cioè di una rete di scuole polo per l’inclusione che sappia cooperare con tutti gli attori preposti alla realizzazione degli obiettivi di inclusione scolastica e sociale, con il coinvolgimento di specialisti ed esperti. La rete dei CTS, di livello provinciale (sono 105 in tutta Italia), sta per essere integrata con la rete dei CTI-Centri Territoriali per l’Inclusione, scuole polo situate nei distretti socio-sanitari. La rete delle scuole per l’inclusione è già operante in molte regioni (Veneto, 51 scuole; Lombardia, 68; Marche, 31; ecc.) e stiamo lavorando per estenderlo a ogni regione. I CTS forniscono anche ausili in comodato d’uso”.

Come evitare che il posto di sostegno continui a essere anche in futuro una più facile passerella per accedere al ruolo?

“Attraverso percorsi rigorosi di studio teorico, tirocini e specializzazioni, come quelli che abbiamo attivato e che in futuro dovranno essere l’unica via per accedere al sostegno. Ci vorrà qualche anno perché un sistema di formazione e reclutamento uguale per tutti entri a regime, ma questa è la strada da perseguire. Nel frattempo dobbiamo perseguire l’obiettivo della continuità didattica del personale di sostegno, così importante per il successo formativo. Il provvedimento per rendere stabili i 27.000 docenti di sostegno, facendoli accedere all’organico di diritto, che è contenuto nel Decreto Scuola in via di conversione in questi giorni, è un primo importante passo in questa direzione. Vorrei anche aggiungere che la migliore soluzione all’idea del sostegno come “ripiego” o “scorciatoia” – sempre che così si possa chiamare in certi casi – è promuovere nelle scuole la vera cultura dell’inclusione, che responsabilizza tutti e non soltanto il personale di sostegno. Ferma restando l’importanza decisiva delle competenze dei docenti di sostegno, alcune competenze sulle disabilità devono essere patrimonio di ogni insegnante ed è la comunità scolastica nel suo complesso che deve attuare una presa in carico educativa efficace nei confronti di ciascun bambino o ragazzo. Questo è l’approccio, proposto a scuole e docenti, che abbiamo indicato con la direttiva sui bisogni educativi speciali, che adesso stiamo attuando con diverse misure di accompagnamento per rendere quest’anno scolastico un anno di sperimentazione. Dunque, progressiva e costante crescita delle competenze specifiche degli insegnanti di sostegno e di quelle di tutti. E’ un approccio che consentirà alle scuole di inverare l’inclusione scolastica così come è stata pensata da una delle leggi più avanzate al mondo, quella del 1977. Dobbiamo tutti esserne consapevoli: daremo forza e continuità al nostro modello se saremo costanti nel tempo, se sapremo sostenerlo con le risorse adeguate e con la continuità nella formazione. C’è – certo – bisogno di manutenzione e impegno a tutti i livelli per garantire e difendere un approccio culturale e pedagogico, fondato sui diritti delle persone, che è un grande segno di civiltà del nostro Paese, riconosciuto nel mondo e, che proprio per il suo valore va via via migliorato lì dove è necessario”.

Oltre alle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno, nel Decreto scuola si parla di un cambiamento delle procedure di accertamento dell’handicap, attraverso l’inserimento nella commissione medica di un dirigente o di un docente. Quali saranno gli effetti di questa modifica?

“Il Decreto Scuola è proprio adesso al vaglio del Parlamento e quindi saranno le discussioni in quella sede a stabilire eventuali modifiche. Il fatto che tutta la VII Commissione della Camera – in ogni parte politica – abbia mostrato grande attenzione a questi temi è un segnale istituzionale e politico davvero importante e promettente. Rispetto alla questione delle certificazioni, esiste l’apposito tavolo paritetico tra il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Salute, che ha il compito, appunto, di monitorare la situazione e proporre interventi. E, come MIUR, intendiamo continuare nel lavoro teso a migliorare i processi di rilevazione delle risorse professionali in ogni scuola e territorio e degli alunni con disabilità e bisogni educativi speciali, nel rigoroso rispetto della privacy, su base funzionale e nella prospettiva dell’integrazione di ciascuno”